ALEX SCHWAZER E LA TENTAZIONE MAI SMARRITA.


Nella vita come nello
sport ci sono tentazioni che vanno oltre ogni logica. In genere chi si immette nell’impervio
percorso del doping, è difficile che possa rientrare nella logica di uno sport
fatto per mettersi a confronto con se stessi. Conoscere i propri limiti senza
aiutarsi con sostanze dopanti, è il senso di un’etica che lo sport a tutti i
livelli impone. Ma quella tentazione di andare a mille, di superare tutti
(anche se stessi), è sempre dietro l’angolo e ti accarezza con mano malvagia e
non ti fa pensare ai tanti problemi cui vai incontro. Una sorta di voragine del
male che all’apparenza ti illude di volare. Alex Schwazer è ricaduto nella trappola del doping, segno di un
ritorno all’effimero di cui non puoi più fare a meno. Eppure c’è stato un
periodo florido in cui questo fuoriclasse della marcia non aveva bisogno di
nessun aiuto chimico. Ha vinto la 50Km di marcia nel 2005 e poi nel 2007 non si
è accontentato di vincere la medaglia di bronzo, perché quella volta l’avrebbe
voluta d’oro. Sembra quasi la schizofrenia di un bambino viziato che pretenda
di essere primo sempre, di vincere comunque e in qualsiasi modo. Così ricadi
nel vizio di assumere sostanze chimiche che oltre a uccidere la lealtà nello sport,
uccide pure te stesso. Una sorta di ossessione che non ti lascia più vivere, perché
arrivare primo e salire su quell’ambito podio più in alto di tutti, rappresenta
il tuo smisurato orgoglio. Ma non può essere orgoglio servirsi di
anabolizzanti, ingannando le leggi dello sport e dell’onestà interiore. Sei
falso e non te ne rendi conto, anche perché appena vieni controllato attraverso
le analisi sei finito. Così è successo la prima volta in cui Schwazer è stato trovato positivo rimediando
una lunga squalifica, e così succede probabilmente oggi in cui è ritornato a
doparsi. Federica Pellegrini dichiara
che chi viene trovato ad assumere anabolizzanti deve essere radiato a vita. Su questo
siamo tutti d’accordo, non esiste alcun dubbio. Ma se l’atleta viene estromesso
dallo sport attivo, resta pur sempre la parte più importante da recuperare: l’uomo.
Ed è questa la strada più difficile da percorrere, quella del recupero di un
ragazzo che si è fatto illudere, esaltare e stordire da false vittorie che eludevano
con l’inganno a conquiste da primo della classe. Quella bandiera intorno al
collo esibita con orgoglio dopo ogni vittoria, per Schwazer era come sentirsi
un re, il più grande di tutti. Fragilità di un ragazzo che non ha capito l’importanza
di uno sport sano, fatto di resistenza fisica, di conoscenza dei propri limiti
e della ragionevolezza di capire che una sconfitta può significare più di una
falsa vittoria. E’ il senso dell’umano che si scontra con lo sport, quando ti
annebbia la vista con il desiderio per nulla rinunciabile, di essere primo non
solo con le proprie forze. La storia dello sport di tutti i tempi ci ha
insegnato a vivere momenti di questo tipo, in cui l’atleta perde totalmente il
senso logico delle cose per abbandonarsi all’effimero del sentirsi potente, più
forte di tutto e tutti. Amara storia di un falso orgoglio in cui non si accetta
che nello sport, come nella vita, è meglio perdere con le sole proprie forze,
piuttosto che vincere con la falsità che mette a nudo la persona. Medaglie d’oro
che diventano di cartone nel volgere di un attimo. Ma che senso ha?
Salvino
Cavallaro