Emiliano Moretti, dopo aver disputato
seicento partite da professionista, ha dichiarato che dalla prossima stagione
non scenderà più in campo. La sua è stata una scelta coraggiosa e difficile, maturata
dopo un travaglio interiore che solo alcuni giorni fa ha voluto rendere noto
con la sobrietà e lo stile che lo contraddistinguono. Anche a fronte delle
richieste di segno contrario di allenatore e società, ha scelto di lasciare il
calcio giocato al termine di una stagione vissuta da protagonista in un Toro che
ha ritrovato il suo tremendismo e la sua identità. Non solo un buon piazzamento
ed una positiva stagione. Per sei anni ha vestito la maglia granata con assoluta
dedizione e massima professionalità. Ho avuto modo di vedere la conferenza
stampa, convocata alla presenza dello staff tecnico del vertice societario e di
tutti i suoi compagni e devo dire che mi ha regalato davvero emozioni forti. Le
modalità con le quali ha comunicato la sua decisione rappresentano la sintesi
del suo modo di essere campione. Si, non esagero, un campione. Quello che lui,
con la consueta umiltà, proprio nella conferenza stampa, ha dichiarato di non
essere mai stato. Moretti è un campione di serietà e di stile. E’ un campione
di umiltà e professionalità. Non è mai stato il calciatore da copertina, quello
pronto ad esibire numeri spettacolari, fisico e tatuaggi. Non è mai stato
l’atleta che ha fatto dell’individualismo uno sgomitare continuo in campo e
fuori, anteponendo il perseguimento della propria affermazione professionale.
La sua grandezza l’ha costruita scendendo in campo e dando sempre più del
massimo per la propria squadra. La sua professionalità l’ha vissuta facendo
sempre vita da atleta con i conseguenti sacrifici quotidiani che la scelta
impone. Il suo stile lo ha sempre portato con sé tenendosi lontano da
riflettori e microfoni nelle giornate di vittoria e mettendoci la faccia nelle
giornate storte. La sua umiltà l’ha dimostrata mettendoci sempre il massimo
negli allenamenti, spronando i più giovani e dispensando incoraggiamenti e
consigli ai compagni. Lentamente, partita dopo partita, si è ritagliato il
ruolo di leader silenzioso, sposando
la filosofia granata senza mai ostentare un attaccamento alla maglia che, al
contrario, viveva con i fatti e non a parole.
Anche la convocazione in Nazionale, momento
sognato da qualsiasi calciatore, lui l’ha vissuta come un traguardo conseguito
dal Toro e non come un vanto o un merito individuale. “Non sono un campione” ha più volte affermato. Ma sono proprio i
calciatori come Moretti che consentono ad un insieme di atleti di diventare
squadra. Sono proprio i calciatori come Moretti che vanno presi come modello di
riferimento perché in loro c’è l’essenza di uno sport che con queste storie di
vita si riscatta. Si riscatta dallo sfrenato ed effimero business che spesso mette da parte la passione e l’etica di un
fenomeno che ha saputo rappresentare, in età moderna, molto più di un semplice
gioco. E’ un esempio per i giovani perché rappresenta il senso più autentico della
professionalità e della passione, alimentata in un quotidiano vissuto con dedizione
ed entusiasmo. Un entusiasmo per un gioco meraviglioso che può diventare
professione e scelta di vita anche se non si hanno le qualità di Messi. Solo
così si riesce ad essere quello che Moretti è stato, un difensore che a
trentotto anni, fino a qualche settimana fa, non faceva vedere palla a
giocatori della massima serie di quasi vent’anni in meno. Anche per merito suo
la porta è rimasta imbattuta per sei partite consecutive, altro record di solidità.
Un record cui ha contribuito spendendosi in corse per il compagno in
difficoltà, applicazione tattica esemplare e determinazione in ogni momento
della gara. Le parole timide quanto spontanee che molti dei suoi emozionati compagni
di squadra gli hanno rivolto dopo aver appreso la sua decisione sono lo
specchio più autentico del suo successo. La sua forza dentro e fori dal campo
per cementare il gruppo, riconosciuta dallo stesso allenatore, non si misura
solo nei contrasti vinti e nelle diagonali efficacemente realizzate o in
qualche gol messo a segno. (Che goduria il suo gol nella vittoria a S. Siro
contro l’Inter!). Moretti non è stato
solo un ottimo difensore. Moretti è stato un protagonista assoluto di questi
sei anni che hanno segnato una crescita evidente del club, della squadra e,
conseguentemente, delle ambizioni. Quest’anno poi, era partito per fare la
riserva e vivere prevalentemente per fare da “chioccia” ai giovani difensori ma
ha finito per essere sostanzialmente un titolare a forza di prestazioni
maiuscole. Prestazioni fatte di grande sostanza e sempre vissute in chiave di
costruzione di equilibri tattici e di crescita di personalità ed autostima del
gruppo.
Non è un caso, allora, che una società sana
ed ambiziosa come quella granata gli abbia immediatamente proposto di restare per
cominciare un nuovo percorso. Un percorso da dirigente per mettere a frutto
quel patrimonio di serietà, di dedizione e di sensibilità che può essere
prezioso nella costruzione delle alchimie di un gruppo chiamato a rappresentare
il popolo granata. Non voglio scivolare nella retorica ma quando si parla di
Toro è necessario partire da concetti identitari. Un calciatore come lui, che
ho avuto il piacere di conoscere, possiede tutte le qualità per trasmettere
valori di lealtà e dedizione a quanti faranno parte del Toro che verrà. Saprà
spiegare che cosa unisce questo popolo straordinario e quali qualità chi
indossa la maglia granata deve custodire dentro di sé per diventare
protagonista. Raccontare un aneddoto, consigliare una lettura, richiamare
l’attenzione su particolari decisivi che fanno la differenza. Tra un giocatore
del Toro e un giocatore da Toro. Non so
se la maglia granata con il suo numero 24 sarà ritirata. Potrebbe essere un doveroso
omaggio. Se così non dovesse essere, chi la indosserà non potrà che ispirarsi
ad un campione silenzioso come lui. E sarà la più importante eredità che questa
lunga esperienza avrà trasmesso al mondo granata. Aggiungendo un altro solido mattone
in grado di arricchire di valori umani la storia di un club che non può
definirsi solo una semplice squadra di calcio.
Fabio
Viglione
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