“La ferita che fa più male è quella di non riuscire a capire la rabbia di quei ragazzi. Mi è sembrato che avessero più o meno la mia età, non erano ragazzini. Probabilmente abbiamo gli stessi problemi. Vorrei riuscire a parlar loro, fargli capire che la violenza non risolve nulla”. A parlare è un poliziotto di 36 anni che durante i tafferugli e gli scontri di questi giorni tra polizia e studenti, è stato colpito violentemente al capo con una mazza da golf. Ricoverato d’urgenza in ospedale, se la caverà con pochi giorni di degenza. Questo, per quanto riguarda le ferite di un poliziotto. Ma, senza volere prendere le parti di nessuno, possiamo raccontare anche di scene orripilanti di manganellate selvagge da parte dei poliziotti contro i manifestanti. La sostanza non cambia. Scene di guerra che fanno male e che, soprattutto, aggravano la miriade di problemi sociali senza nessun barlume di risoluzione attraverso questo sistema di guerriglia. Una cultura della violenza che è totalmente sbagliata, di cui l’uomo ne fa uso e consumo come reazione emotiva da impulso improvviso e scatenante, piuttosto che adottare la giusta metodologia dell’incontro verbale adatta a risolvere e/o migliorare ogni problema. Sport, calcio e politica sono spesso alle prese con la dilagante cultura dell’odio, della violenza, della rabbia sociale che sfocia in maniera esasperata ed esasperante contro il potere e le istituzioni. Un problema che si perde nella notte dei tempi, dove l’uomo, pur sapendo che attraverso la violenza si peggiora ogni cosa, persevera su questo tipo sbagliato di ribellione senza dare ascolto alla ragione. Negli stadi e fuori dalle sue mura, per le strade e nella vita di tutti i giorni, avvertiamo una sempre maggiore e profonda inquietudine sociale che si dipana attraverso mille sfaccettature, siano esse di natura politica, economica o anche legata al mondo dello sport . In primis, è evidente la fragilità dell’uomo, delle sue ferite mai curate che si porta dentro l’anima come fardello sempre più pesante da sopportare, che lo fanno esplodere in ogni occasione, talora anche la più banale. Un modus vivendi errato, un’interpretazione del vivere sociale che nulla ha a che fare con l’intelligenza dell’uomo. Giusto far valere i propri diritti, combattere le ingiustizie sociali, politiche, giusto protestare contro le iniquità di ogni genere, sbagliato è farlo attraverso la violenza, l’odio e la vendetta. C‘è un motivo conduttore che coinvolge lo sport alla politica, un intersecarsi di problematiche che s’infiltrano tra le pieghe profonde del malessere sociale che fa capo alla centralità dell’uomo stesso. Nel corso degli anni, dopo i disordini avvenuti dentro gli stadi e fuori, abbiamo ascoltato storici, sociologi, psicologi e altri luminari del mestiere, tentare di dare una risposta a rivolte e manifestazioni di violenza sociale. Ma, alla loro razionalità scientifica, si è contrapposta sempre la logica di pensiero sociale che, creando disordini e violenza, si addivenga ad una sorta di strumentalizzazione nel tentativo di conquistare il potere repentinamente, anche se in modo assolutamente errato. Il calcio e lo sport in genere, sono dunque lo specchio della società, delle sue infinite debolezze, insoddisfazioni, delle iniquità mai risolte e, soprattutto, della perenne difficoltà di vivere un quotidiano fatto di giustizia, dove l’uomo che è l’unico vero responsabile del bene e del male, capisca finalmente che combattere se stessi con l’arma della violenza e dell’odio non risolve nulla, anzi peggiora ogni cosa.
Salvino Cavallaro
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