Prima ancora che toccare il
cielo con le dita, Vincenzo Nibali da Messina ha toccato il cuore. Sì, il cuore
dei suoi affetti più cari e dei tifosi di tutta Italia che si accomunano
fraternamente con quelli di Messina. E’ un po’ come dire che la sua impresa
ciclistica francese, ha avuto il merito di non essere soltanto forza suddivisa
tra testa e gambe, ma è stata anche emozione. I suoi occhi lucidi apparsi in TV
in occasione della premiazione sul podio più alto del Tour, lasciavano
trasparire un’emozione profonda che scaturiva spontanea, quasi come se in quel
momento nel suo cervello scorresse veloce il film della sua vita, dei suoi
sacrifici fatti da quel giorno in cui, quindicenne ciclista dilettante, si
trasferì in Toscana lasciando con rammarico la sua Messina, la città dello
stretto che gli ha dato i natali. Eppure, a un certo punto della sua giovane
età, Nibali fu assalito dalla voglia di smettere di correre in bici, così come
spesso accade a chi si abbatte alla prima sconfitta perché non è completamente
maturo. Ma papà Salvatore, quel giorno, diede un sonoro schiaffo a suo figlio
Vincenzo, uno schiaffo che oggi il campione ricorda con grande affetto, perché
è stato un toccasana di autostima per andare avanti. Vincenzo è un ragazzo
dolcissimo, forte fisicamente e dalla muscolatura di gambe perfetta per essere
un ottimo ciclista. Tuttavia, dopo aver vinto la Vuelta, il Giro d’Italia e il
Tour de France, non tradisce mai quel suo essere ragazzo onesto nell’anima e
mai banale nelle sue dichiarazioni, siano esse dell’immediato post gara o più a
lungo termine. Sempre garbato, umile, mai borioso e con frasi sopra le righe. “Se oggi sono qui, è perché c’è il doping”
ha detto mentre era sul podio più alto di Parigi, un po’ come dire che se non
ci fossero i controlli seri dell’antidoping, sicuramente non avrebbe vinto
perché altri sarebbero arrivati prima di lui. Dopo anni di marciume in questo
sport che giustamente è ritenuto il più duro dal punto di vista dello sforzo
fisico, finalmente è arrivato Vincenzo
Nibali che non è soltanto pulito nell’anima ma che ha una sorta di
idiosincrasia verso i farmaci. Alla Vuelta, Vincenzo era stato punto da un’ape
durante una tappa, con conseguente reazione allergica. La faccia si è subito
gonfiata e tumefatta come se fosse stato picchiato da qualcuno. Correre in
quelle condizioni sarebbe stato un incubo. Ebbene, gli stessi organizzatori
vedendo la necessità, gli avevano dato il benestare per fare una puntura di
cortisone che, in condizioni normali, è considerata una sostanza dopante e può
essere usata soltanto per esclusivi motivi medici. Ma Vincenzo non volle
sottoporsi alla cura perché aveva capito che per restituire credibilità al suo
sport, rispettare le regole non bastava, perché bisognava dare messaggi di
chiarezza, trasparenza e solarità. E così niente cortisone e, sistemati i piedi
sui pedali della bicicletta, Vincenzo ha corso con la faccia gonfia, stringendo
i denti, finendo la tappa e conquistando la maglia rossa. Nibali è questo, un ragazzo pulito d’altri
tempi che sa cos’è il sacrificio di allenamenti continui in uno sport che non
dà scampo a chi pensa di farla franca con sistemi dopanti. Lui ha lo sguardo
buono, ma quando monta in sella, va dritto per la sua strada senza ascoltare
niente e nessuno perché diventa uno squalo: “Lo Squalo dello Stretto”, così com’è affettuosamente chiamato da
tutti i suoi fan. La bici da corsa per Nibali è una passione iniziata da
bambino e non morirà mai. Sì, perché dopo una conquista bisogna pensare subito
a un’altra corsa da preparare, a un altro giro da fare con serietà, con impegno
e senza mai cullarsi troppo sui traguardi conquistati. In fondo la bici da
corsa è come la vita; monti in sella e vai, pur sapendo che dopo una curva ce
n’è subito un’altra e poi un’altra ancora. Un po’ come dire che gli esami non
finiscono mai. Questo, Vincenzino lo sa, perché l’ha imparato correndo in bici,
scalando le montagne e soffrendo, fin da quel giorno in cui lasciò con un po’
d’amarezza la sua Messina, che oggi è orgogliosa di lui, come forse non è mai
stata di nessuno.
Salvino
Cavallaro
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