Guardando la partita di Coppa
Italia tra Torino e Lazio, vinta dai biancocelesti con il risultato di 3 a 1,
abbiamo capito perché il calcio italiano è caduto così in basso rispetto a
Germania, Spagna e Inghilterra. Una noia incredibile, uno spettacolo da non
calcio che ha reso insofferenti anche i più appassionati sostenitori della
pelota di casa nostra. La Lazio ha vinto praticando un calcio essenziale ma per
nulla esaltante, contro un avversario praticamente inesistente. Un Torino che,
pur avendo la consapevolezza dell’impegno importante da affrontare, non è sceso in campo, non s’è mai visto. Si potrebbe definire la
sfilata dello squallore calcistico, dove rabbia e indifferenza si sono
alternate tra lo sparuto gruppo di sostenitori presenti all’Olimpico di Torino,
che hanno avuto il coraggio di sfidare l’umidità e il freddo di una serata di
gennaio. Da mezzo secolo a questa parte il Torino è sempre lo stesso. Immensa leggenda,
grande storia calcistica, vasta letteratura granata fatta di romanzi, racconti,
disgrazie, poesie ed eterni rimpianti. E poi…..nulla! No, questa volta non vogliamo cadere
romanticamente nella retorica dei sentimenti, ma desideriamo riflettere sulla
realtà di un Torino che non può essere altro che negativa. E concordiamo con
mister Ventura che, con la sua solita onestà intellettuale, ammette che la
partita contro la Lazio deve farci riflettere. E’ vero, deve farci capire tante
cose, soffermandoci sul fatto che nonostante cambino le generazioni e passi inevitabilmente il tempo, da quel lontano 1975- ’76 in cui il Torino di Gigi Radice vinse
il suo ultimo scudetto, oggi le cose non sono cambiate per nulla. Un’alternanza
di tenue luci si sono contrapposte al buio della notte fonda. Mai l’accenno a
migliorarsi, a ingranare la marcia, neanche nel momento in cui è sembrato di
trovare il bandolo della matassa.
Ci riferiamo all’anno scorso, in cui il Torino
ha avuto l’opportunità di crescere, di scrollarsi di dosso un anonimato che gli
sta stretto, che non si addice a chi ha la responsabilità di uno storico
passato che, ironia della sorta, invece di migliorarne l’aspetto, diventa un
fardello pesante da sostenere. E così, invece di ripartire da Cerci e Immobile
e incrementare con acquisti importanti il valore di una squadra che partecipa
finalmente all’Europa League, ecco che si ritorna indietro come i gamberi. Si
vendono ottimi giocatori, si acquista qualche giovane promessa con pochi spiccioli,
si prende in prestito qualche giocatore e, soprattutto, si diventa società che
tenta il recupero psicofisico di ex giocatori come Amauri e adesso anche
Maxi Lopez, solo per citare il presente. No, così proprio non va. La serie A è
una cosa importante e l’attuale conduzione societaria del Torino, continua a non
assumere i connotati di prestigiosa società di calcio ma, più semplicemente, si
nasconde dietro un dito: quello dell’apparire senza essere. Se il problema è
solo legato al denaro che non c’è, lo si dica chiaramente. Anche se, più d’una
volta, ci viene il serio dubbio che ci sia una buona dose di incapacità. Sì,
perché questo fare e disfare senza mai trovare il focus, l’equilibrio di una
squadra importante che possa contare su una grande società, così come accade
non da oggi in casa Toro, lascia davvero perplessi, attoniti. Il problema è che
in tutti questi anni, anche se ci fosse stata la possibilità di acquistare i
campioni, gli stessi non sarebbero venuti perché al Torino non c’è certezza di
crescita professionale. Poi si può trovare qualsiasi altro discorso, disquisire
su tanti altri motivi e ipotesi, dividersi tra accusatori e più morbidi
difensori, ma la sostanza non cambia. E' questa. Una perniciosa carenza nel voler crescere,
diventare adulti non solo nella sofferenza delle sconfitte ma anche nella
capacità delle vittorie, nella gloria in cui si acquisisce il buon nome
dell’immagine di società e di squadra importante, nella consapevolezza che l'avversario di turno possa anche temerti. Adesso, dopo l'amarezza di questa brutta sconfitta rimediata contro la Lazio in
Coppa Italia, questi temi tornano sempre più attuali, cocenti, pesanti come
macigni. Ventura ha ragione, la riflessione è d’obbligo. Ma riflettere non vuol
dire ricominciare sempre d’accapo senza mai andare avanti, progredire,
crescere, stilare un progetto serio. Ma poi, siamo proprio sicuri che sia solo
questione di soldi che non ci sono?
Salvino
Cavallaro
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