TRA LACRIME E SORRISI


Il calcio è la metafora della
vita. Un pensiero ricorrente del quale ne facciamo spesso uso. E, quando si
pensa a ciò che lega il mondo del pallone alla vita di tutti i giorni, quasi
sempre restiamo esterrefatti su come ci siano cose e situazioni diametralmente
opposte, che per somiglianza sembrano nate da un parto gemellare. Chi vive come
me gli umori del pallone della città di Torino, non può fare a meno di
riflettere su sentimenti ed emozioni talora opposte, che si manifestano come similitudini
di ciò che viviamo interiormente nel nostro quotidiano. Gioia e dolore
sono manifestazioni forti che ci
accompagnano lungo l’arco della nostra vita. Quando godi della tua gioia, non
pensi ad altro che viverla intensamente e, nella sua piena legittimità, non hai
tempo e voglia di pensare a chi soffre. Quando invece arriva il giorno del
dolore, lo fai tuo come un qualcosa che ti appartiene in quel momento e magari
in solitudine ti chiedi: “Perché proprio
a me?”. La risposta non c’è, anzi una c’è, ed è la vita stessa che si
manifesta con tutto il suo significato più profondo. La gioia scatenante,
irrefrenabile e assolutamente legittima del popolo juventino per la conquista
del 30esimo scudetto (32 vinti sul campo, ma non confermati dai noti fatti di
calciopoli), si è opposta alle lacrime di delusione dell’altra Torino del
pallone, quella granata, che in maniera incredibile ha visto sfumare in un lieve
soffio di vento, il sogno a lungo accarezzato della partecipazione ai
preliminari di Europa League. Una delusione profonda che si è consumata sul
campo di Firenze ma che si è riflessa sotto la Mole in maniera bruciante,
proprio nelle ore in cui l’altra Torino, quella bianconera, godeva
irrefrenabilmente tra gli schiamazzi e lo sbandierare festoso dei suoi sostenitori, i
quali si sono uniti al pullman che portava i campioni della Juve per le vie del
centro della città. Un contrasto tremendo di emozioni opposte, belle e crudeli
allo stesso tempo, che mi ha fatto pensare al giorno in cui in un letto d’ospedale
moriva mia madre, mentre nello stesso momento, nel reparto accanto, c’era chi
nasceva. Lacrime uguali, emozioni diverse, sentimenti diversi e diametralmente
opposti; quelle tristi date dalla morte di una persona cara e quelle di gioia profonda
per una vita che nasce. Non appaia eccessivo il paragone, ma ciò che si prova
in certi momenti della vita sembra così distante e al contempo vicino, tanto da
farti riflettere sul significato delle cose. E così, anche il pallone è capace
di risvegliare certi sentimenti forti legati alla vita e all’uomo che ne è
l’artefice. Le lacrime di gioia versate allo Juventus Stadium dalla signora Conte, moglie del coach della
Juventus, si sono contrapposte a quelle versate da Alessio Cerci sul campo di Firenze, dopo aver fallito il calcio di
rigore al 94°. Incredibile, ma vero! Per le strade, nelle piazze, nei bar, nei
locali pubblici della città sabauda ho percepito un’aria diversa dal solito, la
malinconia che s’accompagna alla gioia, che la prende per mano. Anche la Mole Antonelliana sembra guardare in
lontananza la Basilica di Superga,
quasi a volerla sollevare da una fragilità e un’amarezza infinita, un qualcosa
di eternamente inspiegabile legata alla tragedia e al destino avverso. Ma è proprio
così. Si contrappongono sempre gioie e dolori, il ricco e il povero, l’opulenza
e il benessere da una parte, e dall’altra l’eterna difficoltà di riassaporare quella
gioia per troppo poco tempo vissuta e poi subito svanita nel nulla. In fondo è
la storia pallonara di quest’antica, discreta, nobile ed elegante città sabauda
che è stata la prima capitale d’Italia, le cui radici profonde si diramano tra gli
inestimabili valori delle antiche casate reali e la difficoltà operaia del
vivere quotidiano. Due estremi contrapposti e paralleli che fanno capo, sempre
e comunque, alla fragilità dell’uomo. Sì, Torino è questa. Due sono le bandiere
che si contrappongono, che sportivamente si odiano, ma che poi sostanzialmente confluiscono
se pur diverse per storia e tradizioni, in quell’unica bandiera che si chiama
emozione, che si chiama vita.
Salvino
Cavallaro