CAMBIARE SQUADRA NON È TRADIRE


Una cultura calcistica ancora troppo lontana.
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Torino, 10/02/2018 -


E’ insito nella mentalità della stragrande maggioranza dei tifosi, che cambiare maglia e squadra di calcio significhi tradire. E invece per un calciatore è qualcosa di fisiologico, soprattutto nell’oggi di un pallone in cui se si presenta qualcuno che ti fa un’offerta irrinunciabile, non puoi umanamente respingerlo. E’ la legge del professionismo di un calcio che tutti siamo pronti a criticare nel suo sistema, ma che poi ne confondiamo principalmente i contenuti, perdendoci tra sentimenti e romantici legami che non hanno più ragione d’essere. Sì, perché il calcio ad alti livelli è una professione e ogni offerta di lavoro va valutata e accettata se ritenuta migliore sia dal punto di vista economico che in prospettiva professionale. E allora cosa vuol dire essere mercenari del pallone? Vuol dire tutto e vuol dire niente, proprio per i motivi fin qui espressi. Da Baggio a Quagliarella, da Higuain a Bernardeschi e tanti altri casi in cui la ruggine e l’odio hanno scavato gli animi più sensibili, non è una cosa che finisce come fosse una breve o lunga storia d’amore, ma è più semplicemente la scelta di un qualcosa che possa darti il meglio. E tutto ciò non deve essere confuso con il rinnegare un passato che pur ti ha dato tanto. No, perché la “ratio” non è il frutto del pensiero di pancia, ma la riflessione apportata dalla testa. Certo,chi va allo stadio ha tutto il diritto di fischiare e di manifestare la delusione di non vedere quel giocatore rappresentativo che non indossa più la maglia del tuo cuore, ma quello che succede ormai come abitudine è l’espressione dell’ira, di quell’odio malsano che non è più qualcosa di sportivo, ma di pericoloso rancore che a livello umano può fare davvero male. E lo vediamo tutte le volte che Higuain ritorna con la Juventus a Napoli, mentre abbiamo pure visto cos’è stato il ritorno di Bernardeschi con la maglia della Juve a Firenze. E’ questione di cultura, perché dietro certe cose, anche se non sembra, ci sono storie personali che non sono sempre così sfacciatamente superficiali. Ricordate la storia umana di Quagliarella? Lui non aveva lasciato Napoli, il Napoli e la maglia azzurra che ama tanto, per un semplice andare a star meglio altrove, ma per storie personali che poi, a distanza di tempo, ha reso pubbliche. Questo deve farci riflettere tutti, perché le storie del calcio legate all’uomo non sono sempre così squallidamente banali e avvolte da considerazioni superficiali che fanno sempre capo al dio denaro. C’è la vita privata, c’è l’ambizione di migliorare professionalmente e c’è pure lo stimolo di qualcuno o qualcosa che ti propone di fare il salto di qualità. E’ legittimo, è sacrosanto e non è tradire!

Salvino Cavallaro               

Salvino Cavallaro