Non capita quasi mai, ma questa volta ho
voluto liberarmi in modo sentimentale del pass che dà diritto a noi giornalisti
di accedere per lavoro nei vari punti in cui si svolgono manifestazioni di
vario genere, eventi o conferenze stampa. Sì, ho pensato che in questa maniera,
andando a visitare il nuovo Stadio Filadelfia il giorno della sua rinascita,
avrei potuto stare in mezzo alla gente, inebriarmi del bagno di folla nell’attesa
di entrare da quella porta che è stata magia e fonte di emozioni. Così, il 25
maggio 2017, giorno dell’inaugurazione ufficiale del Fila, mi sono recato a
piedi lungo tutta la Via Filadelfia. Il caldo è insopportabile e mentre durante
il tragitto passo accanto a una farmacia, scorgo dal termometro che ci sono 31
gradi. Sono le 15,45, il sudore e la fatica si fanno sentire, ma la voglia di
arrivare lì davanti alla porta del nuovo Fila è troppo forte. Cammino tra il
sole che scotta in maniera estiva e man mano scorgo sempre più tifosi del Toro
che si associano al mio cammino. Sono vestiti di tutto punto. Il colore granata
delle magliette, piuttosto che dei cappellini, delle bandiere e un’infinità di
altri gadget, sono l’emblema di un momento che sta per avvicinarsi sempre più. Oltrepassato
Corso Unione Sovietica all’altezza della Piscina Comunale, alzo gli occhi e
vedo tutti i balconi dei palazzi che arrivano fino alla Via Giordano Bruno e
oltre, orgogliosamente tappezzati di granata. E’ il preludio che ti fa capire
il grande evento, un momento speciale che ha il gusto di un qualcosa che
pensavi aver perduto per sempre e che invece rinasce in modo da lasciarti
incredulo. Arrivato finalmente davanti al Filadelfia, mi accodo dietro una
lunghissima fila di tifosi in attesa di entrare. Per capirci meglio, ho
cominciato a far la coda da Via Giordano Bruno fino all’entrata di via
Filadelfia. I raggi del sole si fanno sempre più impetuosi, il caldo è
insopportabile, e l’aria, vista anche la ressa di persone, si fa sempre meno carica
di ossigeno. Ma che importa, questa fatica merita l’emozione che sto per
vivere. Accanto a me tanta gente composta, quasi muta, rispettosa, forse perché
immersa nel ricordo della Leggenda degli Invincibili, che traspare soltanto in un
unico moncone laterale rimasto e due muretti della vecchia biglietteria con
scritte fasciste. Un bimbo di dieci anni con la maglietta del Toro tiene stretta
la mano di papà. Nessuno dei due ha mai visto giocare il Grande Torino, ma è
come se l’avessero visto, l’avessero vissuto attraverso la storia e l’immensa
letteratura granata che sicuramente papà avrà raccontato al suo bimbo. Momenti
che mi fanno pensare, riflettere su una passione incredibile che non ha
precedenti. E più d’una volta mi sono chiesto cosa farebbe questo popolo
granata se fosse supportato da una squadra vincente che potesse far convivere
storia e conquiste. Ma forse è proprio questa la bellezza del tifoso del Toro,
capace com’è di arrovellarsi in certi momenti di delusione e poi ricredersi
davanti all’orgoglio e alla dolcezza dei ricordi. E intanto a piccoli passi,
sotto il sole che si fa sempre più cocente, arriva il momento della mia entrata
al nuovo Fila. Alla mia sinistra il secondo campo di calcio, il cui perfetto
manto erboso di moderna tecnologia, opacizza il ricordo di quello spelacchiato
campetto dove i bimbi con tanto di maglietta del Toro venivano selezionati dal
maestro Vatta.
E intanto il sudore si fa sempre più copioso,
e mentre mi tocca ancora di mettermi in coda a una enorme fila di persone prima
di accedere definitivamente sugli spalti dello stadio, spero davvero di farcela
a superare l’ultimo sforzo. La coda è composta, mai nessun furbetto ha tentato
di non rispettarla per arrivare primi. Sarebbe stata quasi un’irriverenza nei
confronti di un momento che sta per arrivare in maniera quasi liturgica. Ed
ecco, quasi ci siamo. Davanti l’ultimo gruppetto è entrato; adesso tocca a me. Volutamente
salgo la scaletta con passo lento, quasi a gustare un momento di intensa
emozione. Adesso ci sono, il Filadelfia si apre davanti a me come fosse magia.
Tutto è nuovo di zecca, le tribune dai seggiolini granata, le curve, i distinti
e il campo di gioco perfetto nella sua spugnosa morbidezza da tappeto verde.
Mentre percorro l’intero tragitto prima di uscire definitivamente dallo stadio
per far posto ad altri visitatori ancora in coda ansiosa sotto il sole, ho
ancora tempo di guardare ciò che sembrava impossibile ricreare e che invece
adesso è lì, davanti ai miei occhi che ripercorrono il passato glorioso di un
Grande Torino che non ho mai visto ma che ne ho odorato le gesta, la forza, l’umanità.
Mi viene un po’ di malinconia quando penso alla mano di mio papà che mi
accompagnava al vecchio Fila a vedere quel Toro di Bearzot, Buzzacchera, Crippa.
Io ero piccolo e mi stringevo a papà, appiccicati com’eravamo a quella
incredibile calca tra gli spalti antichi di un Filadelfia che ancora respirava il
sudore di Valentino Mazzola e compagni. E mentre mi sembra quasi di scorgere
come un film quello che è stato il passato, mi accorgo che è ora di andar via,
di ritornare a casa, di pensare a una giornata di vissuto granata che,
nonostante la fatica, non dimenticherò mai. L’imbrunire è complice di una dolce
malinconia, ma domani sarà un altro giorno. Adesso il Fila scrive un’altra storia.
Salvino
Cavallaro
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