Una
vita in contropiede (tra parole e pallone)
Sembra ieri, eppure è già
passato un anno dalla sua presentazione alla Fiera del Libro di Torino. “Non so
parlare sottovoce” pubblicato da Cairo Editore, fa parte di quella
letteratura italiana che appassiona sempre ed è senza tempo. Mai titolo di un
libro fu adatto al suo contenuto. Aldo Agroppi
è così, prendere o lasciare. E’ il destino di tutte le persone schiette
come lui, toscano fino alla punta dei capelli nel non conoscere dove sta di
casa l’ipocrisia. Ricordo di aver letto con molto piacere il file che mi era
stato inviato via mail prima della pubblicazione del libro. Bozze corrette,
parole sottolineate e ricorrette dall’autore, che sapevano di impegno letterario
da parte di chi si accingeva per la prima volta a scrivere un libro da solo, svelando
pubblicamente come egli è nella sua anima e nel suo più profondo essere, con i
pro e i contro di un carattere che è simile a un “legno storto”, così come (dice lui), era il “su babbo”. Ricordo
che lo scorrere di questo lungo e intenso lavoro letterario mi aveva
affascinato sotto l’aspetto della conoscenza di un percorso di vita fatto in
rettilineo, ma che spesso ha subito curve improvvise e inaspettate. L’amore
eterno per Nadia, sua moglie, donna perfetta con la quale condivide lunghi anni
di matrimonio felice. E poi tanti momenti di ricordi e figure incancellabili
della sua famiglia, che tracciano un passato fatto di semplicità e tanto
orgoglio. Tutto questo s’interseca perfettamente agli aneddoti che si sono
sviluppati tra antipatie e polemiche vissute con personaggi del mondo pallonaro,
vedi Mancini, Lippi, Sacchi. Pagine e
capitoli in cui Aldo mette a nudo le proprie ansie, le fragilità,
l’oscurità e il pessimismo verso il mondo d’oggi che ha perso il senso
dell’equilibrio e dei valori umani. Ma al contempo ho letto pagine che fanno
sorridere, che sono esilaranti, capaci di contrapporsi a certi racconti commoventi.
Il Toro, Gigi Meroni e la giornata di una maledetta domenica d’ottobre, che
inizia con la vittoria sulla Sampdoria e si conclude tragicamente con la morte
della “farfalla” granata. Chi conosce Aldo Agroppi lo ritiene un caro amico, e
chi come me ha avuto l’occasione di intervistarlo più volte, coglie sempre in
lui il tratto malinconico di un’anima spesso inquieta, sensibile, reattiva alle
storture e alle ingiustizie della vita, ma al contempo capace di sciogliersi
come un bimbo. Sono i forti sentimenti contrapposti che lo coinvolgono
personalmente, e forse, chissà, sono stati gli artefici del suo male oscuro che
a un certo punto gli ha cambiato la vita. E’ l’Aldo Agroppi degli estremi opposti
tra loro, che si sviluppano tra picchi di positività ad altri di negatività. E’
il marchio della sua vita di ex calciatore professionista e di uomo che con la
sua schiettezza si è inimicato anche i “papaveri” del Potere. Per questo ha
pagato a lungo sulla sua persona, ma la cosa più bella è che egli fa di questo
suo modo d’essere il suo orgoglio. Senza rimpianti, senza incertezze, ma con la
consapevolezza che se la sua vita dovesse ricominciare rifarebbe esattamente
ciò che ha fatto. E’ Aldo Agroppi, mediano arcigno e marcatore senza mezzi
termini in campo e nella vita. Incendiario e mai pompiere, per questo non sa
parlare sottovoce.
Salvino
Cavallaro
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