L`EMOZIONE DI VIVERE A SUPERGA LA TRAGEDIA DEL GRANDE TORINO


Storia di un giorno particolare
tempo: 42ms
RSS
Torino, 04/05/2021 -

Ma che cos'è l'emozione se non il momento dell'esaltazione dei sentimenti che si intersecano in maniera profonda alla nostra sensibilità. Ognuno di noi può avvertirla in tanti modi, in tanti luoghi e in varie situazioni, ma resta pur sempre uno degli attimi più importanti della nostra vita. Così come librarsi l'anima dinnanzi al ricordo, alla memoria del Grande Torino, alla sua storia diventata Leggenda. Chi ha avuto modo di andare a Superga, di percorrere in auto o attraverso la caratteristica Tranvia a Dentiera detta anche cremagliera che parte da Sassi e si inerpica attraverso la folta vegetazione della collina torinese, avrà sicuramente ammirato oltre lo spettacolo di vedere Torino dall'alto, anche qualcosa di particolare che si identifica in un luogo unico per storia, cultura, arte e tanto altro che è racchiuso all'interno dell'affascinante Basilica. Sì, perchè Superga è questo e non solo. Tu arrivi nel piazzale antistante la maestosa Basilica - capolavoro di Filippo Juvarra - e già avverti uno strano senso che ti porta alla bellezza della vita. Strano, ma qui non è il luogo di tragedia e di morte del Grande Torino? Già, una strana sensazione si impadonisce di te e ti porta a pensare come il parallelismo tra la vita e la morte sia molto sottile. E intanto entri nella Basilica e ti inebri di questa singolare struttura circolare ricca di affreschi, di storia e cultura che rappresenta appunto la vita. Poi, uscendo e percorrendo l'ala sinistra della circolare Basilica, segui l'indicazione per andare a vedere la lapide del Grande Torino. I passi sul selciato sembrano quasi muti e il silenzio ovattato dà l'impressione di prepararti a un momento magico e di raccoglimento verso chi non c'è più. Così ti trovi là dove si consumò la tragedia di quella squadra unica e irripetibile, di quegli Invincibili che, tornando da Lisbona, persero la vita nello schianto dell'aereo che li stava portando a casa. Giorno funesto quel 4 maggio 1949, quando alle 17,03 di un pomeriggio in cui le nubi nere, basse e volutamente maligne, consumarono in tragedia ciò che avrebbe dovuto essere un ritorno ai propri affetti più cari. 31 componenti l'equipaggio di quell'aereo perirono. Erano i calciatori del Grande Torino, ma c'erano anche i giornalisti al seguito. E mentre sei lì in devoto raccoglimento, alzi la testa e vedi da un lato la maestosità dell'icona della squadra capitanata da Valentino Mazzola e dall'altra una serie di bandiere e sciarpe di tifosi di tante squadre d'Italia ed Europa che sono il segno tangibile del loro essere stati presenti qui a onorare il Grande Torino. E poi? Poi scorri uno ad uno i nomi dei morti che inevitabilmente emozionano e portano al pensiero del significato stesso della vita che è sempre legata a un filo, come se il destino che qualcuno dice essere segnato sin dalla nascita in ognuno di noi, scegliesse sempre il momento di decidere quando è l'ora. Non sappiamo quanto ci sia di vero sul significato di fato o destino che dir si voglia, tuttavia, in quel luogo di tragedia c'è qualcosa che ti porta sempre a pensare alla vita e alla morte come due momenti strettamente legati a loro. E intanto comincia ad inbrunire, qui al colle di Superga l'aria raccoglie tutta l'umidità presente dei 672 metri di altezza. Le luci della sera consigliano di ritornare a casa, non prima però di avere salutato ancora una volta con uno sguardo il Grande Torino, il quale attraverso la tragedia ci ha saputo trasportare in pensieri esistenziali che sanno di emozione vissuta. Il silenzio ci è stato amico e anche il cinguettìo degli uccelli ha saputo accarezzare l'anima e il pensiero che in questi casi porta inevitabilmente a Dio. E' Superga, è la lapide del Grande Torino, è questo luogo particolare che sa di mistero, di vita e di morte.

Salvino Cavallaro