JUVENTUS, PRIMA BRUTTA E POI TARDIVAMENTE SUFFICIENTE


Approfondimento
e analisi della sconfitta di Atene
Sembra incredibile, ma quando la Juventus gioca
in Champions League si trasforma in maniera negativa. Una metamorfosi, una sorta
di dottor Jekyll e Mr. Hyde del quale non si capisce bene il perché. Sono ormai
tanti anni che la squadra bianconera e i suoi tifosi ambiscono a conquistare questa benedetta Coppa
con le orecchie, che per loro sembra stregata. La Juventus vista ad Atene contro
l’Olympiacos ha avuto due facce. Nel primo tempo è stata inguardabile e
timorosa, sciupando una serie incredibile di passaggi che venivano regalati
sistematicamente agli avversari. Nella ripresa, invece, ha capito che bisognava
cambiare passo, avere maggiore determinazione e, pur non cambiando il risultato
nella sostanza, ha avuto una specie d’impennata d’orgoglio. E’ vero che nei
secondi quarantacinque minuti la squadra di Allegri ha dimostrato il giusto
cipiglio ma, nonostante aver giocato praticamente sempre sotto la porta dell’avversario
e colto pure una traversa con Morata (unica nota lieta bianconera della partita),
non è riuscita a raggiungere quel pareggio che, in base a ciò che abbiamo
visto, sarebbe stato sicuramente meritato. Ma non è giusto recriminare su ciò
che avrebbe potuto essere e non è stato, perché la storia di questa partita ha
dato altri spunti di riflessione. Innanzitutto ci viene da dire che in Europa
non puoi permetterti di regalare un tempo agli avversari, chiunque essi siano.
E poi è necessario essere più incisivi nel pressare l’avversario dal
centrocampo in su, con convinzione, con determinazione e cattiveria agonistica,
senza mai abbassare il baricentro e regalare campo all’avversario. Ma c'è un
altro aspetto da non trascurare, ed è il palese distinguo di mentalità tra il calcio
europeo e quello italiano. Il nostro è ancora un calcio non sufficientemente propositivo,
in cui l’idea di pareggiare una partita ci porta al pensiero che in fondo si
poteva perdere, senza pensare che quella stessa partita si poteva anche
vincere. Insomma, è un accontentarsi vecchia maniera in modo metodico. Dal
punto di vista atletico, poi, al cospetto del calcio europeo ci sembra di
camminare piuttosto che correre. E così l’avversario arriva prima sul pallone,
ha migliore gamba e forza atletica, pressa alto e non ti lascia ragionare. Differenze
che vengono alla luce proprio nel confronto con il calcio d’Europa, mentre non
ce ne accorgeremmo mai se seguissimo soltanto il pallone nazionale. La partita
contro l’Olympiacos ha messo a nudo la mancanza di forma di Andrea Pirlo, un
giocatore essenziale nell’assetto tattico della Juventus. Pirlo ha sbagliato
una serie innumerevole di passaggi, si è fatto anticipare sempre dagli
avversari e persino la sua “maledetta”, e cioè il calcio di punizione che da
sempre rappresenta l’emblema del suo eccellente bagaglio tecnico, non è
stato all’altezza della situazione. Ma anche Tevez, Asamoah, Pogba non sono
stati i giocatori che conosciamo. Ci è piaciuta invece l’intraprendenza di
Vidal che a parer nostro è stato sufficiente per impegno e grinta, almeno in
fase di interdizione. Sostanzialmente, dunque, la Juventus alla terza partita
di Champions è praticamente la stessa
dell’anno scorso. Nelle prime tre partite, infatti, aveva conquistato solo due
punti perché aveva pareggiato a Copenaghen e in casa con il Galatasaray, mentre
aveva perso fuori casa a Madrid contro il Real. Quest’anno ha raggranellato tre
punti vincendo in casa con il Malmo e perdendo a Madrid contro l’Atletico e ad
Atene contro l’Olympiacos. Risultati che, come l’anno scorso, mettono in seria
difficoltà la Juventus per il passaggio al turno successivo, tenuto conto che
Atletico e Olympiacos sono appaiate a 6 punti e i bianconeri dividono il
fanalino di coda a 3 punti con il Malmo. Ma, a prescindere dai punti e dalla
situazione di classifica che è ancora recuperabile nelle tre partite rimanenti
del girone, ciò che lascia perplessi della Juve di Coppa è questo suo atteggiamento
indefinibile nella mancanza di approccio alla partita, soprattutto all’estero.
Forse è mancanza di maturità che tarda ad arrivare, ma c’è molto di mentalità
nazionalistica pallonara che, evidentemente, non è ancora all’altezza del
calcio europeo.
Salvino
Cavallaro