LA LEZIONE PARALIMPICA E I CAMPIONI IN CHIAROSCURO


Poco interesse mediatico e scarsa considerazione. L`errore di considerare le Paralimpiadi come i Giochi di Serie B.
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05/09/2012 -

La sera del 29 agosto ho acceso il televisore. Mi aspettavo di trovare la cerimonia di apertura dei Giochi Paralimpici in prime time su Rai 2, ma mi sbagliavo. La festa era altrove, lontano dalla triade generalista di Viale Mazzini, ovvero su Rai Sport 1. Solo una scelta tecnica, quella di dirottare la trasmissione dell'evento in un canale specializzato? Allora si dovrebbe spiegare anche perché, in questi giorni, delle Paralimpiadi si parla sottovoce. Siamo ben lungi dai titoloni in prima pagina che, da novelle odi pindariche, descrivevano ed esaltavano le gesta degli olimpionici. Ora perlopiù si tratta di qualche piccolo spazio in taglio basso. Eppure l'Italia, in sei giorni di Giochi, ha già collezionato tre ori, quattro argenti e due bronzi. Ma i telegiornali non ne parlano a gran voce, come hanno fatto meno di un mese fa in occasione dell'en plein azzurro nella scherma femminile o addirittura di un flop come quello della Pellegrini.

Fortuna che la nostra Pellegrini ce l'abbiamo, e di medaglie ne ha già guadagnate tre, due d'oro e una di bronzo: Cecilia Camellini, classe '92, vincitrice nei 100 e nei 50 metri stile libero e terza nei 100 metri dorso. È cieca dalla nascita, ma vedendola nuotare sembra che sia stata strappata all'acqua a forza, per vivere sulla terraferma. Saettando nella piscina dell'Acquatics Center, ha centrato il record del mondo nei 50. L'altro primato azzurro viene dal tiro con l'arco, e ce lo regala Oscar De Pellegrin, un veterano che ha centrato l'oro alla sua sesta Paralimpiade. Senza poi dimenticare altri nomi, che non tutti conoscono e che probabilmente fra qualche mese quasi nessuno ricorderà, nel fisiologico declino post-olimpico di quelle discipline che, almeno qui in Italia, vedono la luce solo durante i Giochi. Atleti come Oxana Corso (argento 200 metri), Federico Morlacchi (due bronzi: nei 100 m farfalla e 400 m stile libero), senza dimenticare lo Yohan Blake paralimpico: Alvise De Vidi, italianissimo di San Biagio di Callalta, argento nei 100 metri piani, anch'egli alla sesta Paralimpiade.

Sono volti di atleti riusciti nell'impresa più grande di tutte, quella di prendere a pugni e calci il destino, superando ogni limite e diventando anch'essi icone del famoso corpore sano di cui parlava Giovenale. Ancor prima dell'allenamento costante e dell'abilità innata, la più grande fonte di alimentazione per ognuno di loro è la determinazione. A questo proposito è obbligatorio ricordare la vicenda di Oscar Pistorius. Dopo cinque medaglie paralimpiche e una dura battaglia con l'Iaaf, è riuscito a partecipare alle Olimpiadi, superando ogni limite e spingendosi avanti. Naturalmente lo aspettiamo a Rio de Janeiro. Alla luce di tutto ciò, fa male constatare che il più delle volte i Giochi Paralimpici vengano considerati Olimpiadi di Serie B; solo l'ombra, un misero lascito della ben più grande  e mediaticamente interessante  manifestazione che li precede. E a noi, incalliti sportivi che ci ostiniamo a soffrire e gioire per cose che non ci riguardano nemmeno  in fondo, cosa cambia nella nostra vita se l'Italia nel medagliere è alla posizione numero otto od ottantotto? -, danno una fitta al cuore certe dichiarazioni come quelle di Paolo Villaggio, il quale considera le Paralimpiadi come una specie di esaltazione della disgrazia, o che sostiene di non voler vedere una partita di basket in carrozzina perché, parole sue, non fa ridere - leggendo queste dichiarazioni mi domando se abbia confuso la Basketball Arena con il Teatro Arcimboldi -. Una figura a dir poco fantozziana, viste anche le pesanti  e, a mio avviso, sacrosante  critiche.

Ennesima discriminazione nei confronti dei Giochi di Serie A, il premio medaglia riservato agli atleti italiani. Infatti ai paralimpici decorati con l'oro è stato assegnato un compenso equivalente a poco più della metà di quello spettante ai normodotati (75 mila contro 140 mila). E la proporzione si mantiene, salvo piccole variazioni, anche per argento e bronzo. Molti fattori, dunque, rendono agli occhi di tutti le Paralimpiadi quasi una brutta copiadei Giochi Olimpici. Eppure, lo spirito olimpico e decoubertiniano si denota maggiormente proprio nella manifestazione che in questi giorni è in via di svolgimento. Quella in cui partecipare è davvero la prima, grande vittoria. Abbattendo mura e scalando vette in carrozzina o su protesi in fibra di carbonio, essi ci insegnano che la cosa più importante è fissare un obiettivo e crederci. Crederci sempre, nonostante le difficoltà e avversità. È questa è la più grande lezione che possano darci quei cinque cerchi colorati su un drappo di stoffa bianca.

Samuel Boscarello