Dopo tanto scrivere e
parlare, è arrivato finalmente il giorno della finale di Coppa Italia tra Milan
e Juventus. Sulla carta tutti vedono strafavorita la Juventus, ma qualcuno si
rifugia pure nella possibilità di una sorpresa Milan. Certo, visto il momento
che attraversano le due squadre non dovrebbe esserci partita, tuttavia, il
calcio ci ha insegnato che non c’è nulla di razionale. Per il pallone, nulla è
scritto in partenza. Questo, Max Allegri lo sa, e fa molto bene a non fidarsi
di questo Milan che quest’anno sembra essersi perso in un mare di guai
societari e tecnici. Ma il calcio si affida sempre all’orgoglio, a quell’impennata
di carattere che spesso diventa la “droga” di chi parte battuto in partenza.
Cristian Brocchi dice che sarebbe bellissimo vincere questa Coppa Italia, ma che
non cancellerebbe nella sostanza l’annata fallimentare dei rossoneri. E, in
effetti, l’abbattimento psicologico in casa Milan è davvero tanto. A cominciare
dal suo capo storico Silvio Berlusconi che minaccia addirittura di non pagare
gli stipendi, visto il “fallimento” di un’annata storta che allontana gli
introiti derivanti dagli sponsor e dalle televisioni. Dalla parte bianconera,
invece, dopo aver conquistato il quinto scudetto consecutivo che profuma ancora
di fresco, c’è un unico pericolo; quello di prendere sottogamba l’avversario
che tutti danno per morto. Ma Allegri non si fida, e dopo la figuraccia
rimediata a Verona, in accordo con la società ha addirittura annullato ogni
festeggiamento di piazza per la conquista dello scudetto. Un fatto che ha
creato molte polemiche, ma che, a nostro parere, mette ancor più in evidenza la
serietà di una gestione tecnica, incline alla cura della concentrazione dei
giocatori che formano il collettivo. Ecco, più che della parte fisica, atletica
e tattica, da più di una settimana Allegri sta curando la parte psicologica
della squadra, proprio per non allentare certe motivazioni che nel calcio sono
alla base di ogni risultato. E così fa pure pretattica, come se questa finale
di Coppa Italia fosse addirittura la finale di Champions. E’ la Juventus, è il
suo modo d’intendere il calcio che vede nella vittoria l’unico senso del
professionismo di un pallone che altrimenti non avrebbe senso. D’altra parte, non
è da oggi che questa società bianconera predica con i fatti che “Vincere è l’unica
cosa che conta”. Un emblema agonistico che tutti sanno, che tutti vorrebbero, ma
che pochi riescono a mettere in pratica. Nessuno partecipa per far comparsa,
questo si sa. Ognuno ha il diritto di aspirare alla vittoria finale, ma la Juve
con i suoi tanti scudetti vinti è forse l’unica a potersi fregiare di quell’unica
cosa che conta nel calcio: vincere. Ma, per fare questo, c’è bisogno di una
grande società che si completa con una grande squadra. Ingredienti essenziali
che in casa Juve esistono ormai da anni. Anche il Milan di Berlusconi ha
vissuto grandi storiche vittorie nazionali e internazionali. Anni in cui ha
rappresentato un modello di progettualità e conduzione societaria che si
rifletteva su una squadra fatta di campioni dal nome altisonante. E non è un
caso che oggi, a distanza di anni, con un Milan ridotto a squadra provinciale, Berlusconi
stia cercando un acquirente serio per la sua società. Dunque, tante motivazioni
si poggiano sul ricco piatto di una Coppa Italia che non è solo attrazione tecnica
e agonistica, ma sa emozionare con quell’antica passione per un football che
attrae sempre, nonostante l’apparente dislivello tra le due contendenti in
campo all’Olimpico di Roma. Chi alzerà la Coppa al cielo, avrà ragione di ogni
cosa.
Salvino
Cavallaro
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