BERLUSCONI VENDE IL MILAN E RESTA PRESIDENTE ONORARIO.


Finisce l`era di Silvio Berlusconi al Milan
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Milano, 06/08/2016 -


“Ho venduto ai cinesi. Una scelta dolorosa ma necessaria. Nel mercato mondiale è impossibile stare a certe cifre, ho venduto per passione. Ho rinunciato a una parte del valore, purché ci fosse l’impegno a investire”. A parlare è Silvio Berlusconi, dopo avere venduto il suo Milan a una cordata di cinesi per 740 milioni di Euro (compresi 220 milioni di debiti). Dopo Moratti, nella Milano del football che conta anche Berlusconi passa la mano. E’ il segno di un’era che si chiude definitivamente e porta con sé i ricordi di tanti trofei vinti, assieme a un’incancellabile passione chiamata calcio. Sono passati trent’anni, eppure sembra ieri che Silvio Berlusconi manager del network televisivo che non era ancora entrato in politica, si affacciava al mondo del calcio con l’obiettivo di stravolgere certe antiche filosofie sparagnine, che imperversavano in un periodo in cui soltanto la Juventus dell’Avv. Agnelli mostrava tutta la sua vigoria organizzativa ed economica. Ed era proprio da qui, che Silvio Berlusconi voleva partire, con quella capacità imprenditoriale che l’aveva portato all’apice del successo della televisione privata. Ma il calcio era un’altra cosa, lui questo l’ha capito subito. Non bastava soltanto la passione e l’essere tifoso rossonero per destinazione famigliare. Ci voleva la competenza, ci volevano le teste giuste al posto giusto. E così fece, quando costruì un organigramma di persone scelte che potessero gestire i milioni che egli mise a disposizione per investire in un mercato del football che rivoluzionò, mettendo sul piatto dei quattrini che per l’epoca fecero impallidire per la sua consistenza nel comprare i giocatori che poi avrebbero fatto grande il Milan. L’idea di mettersi in politica era solo nell’aria, tuttavia, ben presto e sulle ali dell’entusiasmo, egli volle provare con quella linea innovativa che si configurò nella logica di chi aveva fatto del denaro attraverso la televisione e voleva subito reinvestirlo in altri settori. E’ la logica degli investimenti creata da chi non si accontenta mai e vede un futuro di galoppante sviluppo. Un po’ come dire che soldo fa soldo e non c’è altro modo per apportare innovazioni anche di mentalità. Così entrò prepotentemente nel Milan di 30 anni fa, facendo fuori un’icona rossonero come Gianni Rivera ritenuto grande ex calciatore ma mediocre dirigente, abituato a tempi decisionali troppo lenti nell’esecuzione. C’era bisogno di qualcosa di diverso, di frenetico, di convinzione che quel Milan avrebbe dovuto cominciare in fretta la scalata al successo, alla conquista del mondo pallonaro, non accontentandosi mai di arrivare secondo. Bisognava primeggiare. Era la logica di chi ha poi vinto tanto, prima in maniera cinica e poi con l’esigenza di creare un football che potesse vincere, convincere e divertire. Fu l’era di Arrigo Sacchi e del calcio champagne olandese. Un Milan che vinse e divertì attraverso la logica di un calcio nuovo, innovativo nella sua sostanza, che teneva conto della vittoria attraverso la bellezza del gioco di squadra. Schegge di affascinanti ricordi che si intersecano tra loro e si dipanano in trent’anni di storia berlusconiana che ha fatto un Milan vincente, capace di scrivere pagine di calcio che sono indelebili. Oggi tutto è cambiato, un po’ come dire che nulla è per sempre e che certi cicli sono destinati a finire per ricominciarne altri. Non sappiamo se realmente questi cinesi saranno in grado di continuare quel percorso berlusconiano che ha dato grandi soddisfazioni al club rossonero. Nel calcio, non sempre la grande liquidità si sposa con le capacità gestionali e le competenze di settore. Trent’anni fa, Silvio Berlusconi l’aveva capito. E questi cinesi lo capiranno?

Salvino Cavallaro

Salvino Cavallaro