Per l’Inter, la gara della svolta è rappresentata
sempre dalla prossima partita. E intanto si consuma la crisi profonda della
squadra di Roberto Mancini. Come spesso accade nel calcio, quando le cose vanno
male tutti si adoperano al capezzale dell’ammalato. Ognuno dice la sua, ognuno
pone la propria analisi con la certezza di azzeccare le cause della crisi. Una
sorta di fonte della verità dalla quale è indispensabile dare credito. Ma, per
fortuna, il calcio è materia opinabile e quindi è giusto ascoltare tutti. In
merito alla crisi dell’Inter, noi abbiamo la nostra idea sull’unica vera causa
di tutto questo continuo insuccesso che si protrae ormai da troppi anni: la Società.
Tranne il periodo del primo
Mancini e la conquista del triplete di Mourinho memoria, l’Inter ha sempre
vagato tra le tenebre di un calcio che non si confà propriamente con la sua
storia di una tra le più importanti società di calcio d’Italia. Erano gli anni
in cui Massimo Moratti, figlio d’arte ed oggi ex presidente dell’Inter, spendeva
soldi a palate ma non vinceva mai nulla. Si voleva imitare la Juventus di
Agnelli, ma con scarsi risultati. Erano gli anni in cui le due società non erano
ancora in combutta tra loro e persisteva una sorta di interscambio di allenatori e
calciatori. Ma quasi sempre, tranne l’episodio legato a Trapattoni che nel 1989
riuscì a vincere lo scudetto sotto la presidenza di Pellegrini, non fu mai continuità
di vittorie. E neanche quando Moratti chiamò alla sua corte Marcello Lippi,
ebbe un miglioramento di sorta. Anzi, l’ex allenatore della Juve fallì in
pieno, proprio perché Moratti gli diede carta bianca su tutto, senza mettergli a
supporto una figura come Moggi, capace di vincere tanto alla Juve.
Oggi, molti anni dopo, le cose nell’Inter sembra che non siano cambiate. La società è
passata da Moratti a Thoir, ma la sostanza sembra non cambiare. Confusione di
idee nella programmazione, nella progettazione tecnica, e forse anche nei ruoli e nelle persone, si
intrecciano ai vertici societari che saltano da un allenatore all’altro, da un
giocatore all’altro, senza mai centrare l’obiettivo prefissato. Una sorta di
continua ricerca di una identità perduta. Con Mazzarri, reduce dai fasti
partenopei, si pensava di aver trovato
la quadra per lavorare in maniera armoniosa, competente, costruendo il futuro portando avanti un
progetto serio. E invece, dopo poco tempo, ci si è accorti che il cambio di
presidenza non ha portato bene a Mazzarri che, nel passaggio tra Moratti (che l’aveva
voluto e accolto a braccia aperte) e Thoir, si è creata una sorta di confusione
tale che la sua squadra non ha saputo superare. Possiamo pure disquisire sull’assetto
tattico e sul valore tecnico forse mediocre dei giocatori, ma la sostanza è che
alla fine Mazzarri è stato sostituito da Roberto Mancini, il quale è ritornato
sulla panchina dell’Inter come il salvatore della patria.
Da qui la ripartenza
con l’acquisto nel mercato di gennaio, di Podolski, Shaqiri, il giovane Puscas
e il ritorno all’ovile di Davide Santon. Alcuni ritocchi voluti da Mancini per
migliorare una situazione che, per le caratteristiche tecniche di certi
giocatori, non gli permetteva di attuare il suo credo tattico imperniato sul 4-3-1-2.
Ma la sostanza è che neanche l’Inter di Mancini riesce a incidere, perdendo
malamente in campionato le ultime partite con Torino e Sassuolo, mentre viene
estromessa amaramente dalla Coppa Italia ad opera del Napoli. E’ vero, il senso
di squadra l’Inter ce l’ha, peccato che continuino a non arrivare i risultati
positivi che sono figli di amnesie difensive, difficoltà di verticalizzare il
gioco e anemia di gol. La piazza interista rumoreggia, ma cambiando le carte in
tavola ci si è accorti che la sostanza non cambia, perché, a parer nostro, il
cuore del problema è la società nerazzurra. Un presidente che viene da lontano
come Thoir è un’assurdità. Delegare è possibile, ma non è mai come rendersi conto della situazione quando sei presente. Adesso il problema si sposterà verso
Mancini e i giocatori che perdono autostima e si trovano ad affrontare il
cammino in Europa League e il prosieguo in campionato, in uno stato di
contestazione quasi generale. Si dice giustamente, che quando si vuole
costruire bisogna partire dalle fondamenta. Nel caso dell’Inter, invece, ci
sembra che si debba partire dall’alto, rivoluzionando certi ruoli nevralgici
dell’assetto societario.
Salvino Cavallaro
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