Dopo la partita di campionato disputata sabato scorso dal Torino in casa del Catania, abbiamo letto molti titoli, tipo: “Abbiamo perso un’ottima occasione per vincere” o “Un pareggio brutto e fortunato” oppure “Quando il gioco si fa duro, i duri devono giocare”. Nell’analisi tecnica della partita a dir poco incolore che il Toro ha giocato al Massimino di Catania, emergono preponderanti due aspetti che si associano a legittimi dubbi: è questa la reale forza del Toro, oppure c’è timore psicologico di disporsi con convinzione ed efficacia con un assetto tattico più dignitosamente offensivo? Il Toro visto fino ad oggi in diverse partite, non ha mai mostrato la sua vera identità di squadra che può e deve ambire a campionati condotti in maniera più importante e consona al suo blasone. Tuttavia, abbiamo ancora negli occhi l’abulia, la paura, la mancanza di idee e di aggressività che il Toro ha manifestato a Catania. La squadra di Maran ha giocato per quasi tutta la partita in dieci uomini per effetto di un fallo di reazione assolutamente ingenuo, fatto da Lodi ai danni di Meggiorini. Ebbene, dopo l’uscita anzitempo del numero dieci rosso azzurro, il Catania è apparso ancora più incattivito, ha creato innumerevoli azioni da gol con grinta e determinazione ed ha anche sbagliato un rigore con Bergessio che, se l’avesse realizzato, avrebbe significato probabilmente la sconfitta per i granata di Ventura. Ma il Toro, dov’era? Pochissime sono state le sue azioni d’attacco, forse due in tutta la partita, una con Bianchi e l’altra sul finire della partita con Verdi. E il resto? Niente. Nebbia sotto il sole di Sicilia. Pur con la stima che nutriamo verso mister Ventura, ci viene il dubbio che il timore di far osare di più questo Toro che, sulla carta si schiera con un 4-2-4 ma che di fatto in campo esprime un 4-4-1-1 per effetto dell’arretramento dei due esterni e della mezza punta di turno, fa apparire la squadra granata come espressione di un calcio minore. Mai azioni in verticale, poco proponimento e movimento senza palla, mai nessun suggerimento di nota da parte del centrocampo verso le punte. Tutto ciò rende il Toro guardingo e preoccupato a distruggere il gioco avversario piuttosto che costruire il proprio. E neanche l’idea di accontentarsi dell’attuale situazione di classifica può essere un attenuante a certe prestazioni incolori. Se è vero che il Torino è una squadra neo promossa e, come tale, recita la parte di chi ha bisogno del punto striminzito per salvarsi, è altresì vero che la sua storia impone un adeguamento della propria immagine. Ci sono squadre come Cagliari, Pescara, Sampdoria che, in qualche modo, esprimono una fisionomia di gioco atta a farsi rispettare. Concordiamo con chi pensa che il Toro non abbia grande qualità tecnica tra i suoi reparti, tuttavia, siamo convinti che ci sia un meccanismo psicologico oltre che tattico da perfezionare. La grinta, la determinazione, l’autostima, non si inventano improvvisamente ma devono essere coltivate fino a farle emergere proprio in partite come quelle contro il Catania, in cui il Toro, visto come si erano messe le cose, avrebbe potuto e forse dovuto imporre il proprio gioco tentando con convinzione la vittoria che era lì, a portata di mano. Invece ha subìto, sofferto fino all’ultimo, pur essendo in superiorità numerica e, se i siciliani avessero vinto, non ci sarebbe stato nulla da dire. In poche parole, assistiamo costantemente al gioco del Toro che non è mai bello, arioso, piacevole, ma sempre sparagnino, timoroso, timido e incolore. Forse è proprio qui il nocciolo di una situazione che ha bisogno di essere spronata a destarsi nonostante i rumors del calciomercato. E’ importante scrollarsi di dosso timori riverenziali che, l’andirivieni tra Campionati di Serie A e Serie B ha evidenziato, oscurando quell’antico furore agonistico che è sempre stato tra le corde e la passione granata del Toro. In questi giorni di mercato invernale, abbiamo sentito mister Ventura cui, ironicamente, vorrebbe Pato e Robinho al Toro. Se questo vuol essere un commento che, tra le righe lascia intendere che il Toro di Cairo non può permettersi più di quello che ha già, possiamo capirlo. Tuttavia, tentare alternative valide al gioco granata, è obbligo.
Salvino Cavallaro
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