Storie di calcio che spesso non hanno una
spiegazione ben precisa. In Verona Juventus si è verificata la magia che non ti
aspetti e che ti fa riflettere come il pallone sia sempre un qualcosa d’indefinibile
nella sua mancanza di razionalità. Fino al 72esimo del match che la Juve ha
giocato in terra veneta, Dybala non si era quasi visto, anzi, diciamo pure che era
apparso come un giocatore avulso dalla logica del gioco. Poi, come per incanto,
l’argentino ha segnato il gol che l’ha sbloccato psicologicamente, dandogli la
possibilità dopo soli 5 minuti di imbastire da solo e realizzare una doppietta
che solo i grandi campioni come lui possono fare. Un po’ come dire che il gol è
tutto, soprattutto per un attaccante che ha bisogno di credere in se stesso. Questo
non vuol dire che Dybala sia uscito definitivamente dal tunnel della sua crisi
personale, tuttavia, possiamo dire che è sulla via di guarigione. Ottima in
questo caso la gestione di Max Allegri che ha lasciato in panchina il giocatore
per qualche turno, nella speranza che potesse ritrovarsi senza l’assillo di
dovere giocare sempre ad alti livelli. Paulo
Dybala è un ragazzo di notevoli qualità tecniche, ma non ci si può
dimenticare che è giovane e come tale non ancora completamente maturo per
sostenere la gravosità di certi immensi riflettori mediatici che l’hanno
paragonato in maniera troppo affrettata a Messi
o Cristiano Ronaldo. Figure
emblematiche di un calcio che è leggenda e significa entrare nella storia per i
tanti palloni d’oro conquistati in carriera. Dybala non ha ancora vinto nulla,
semplicemente perché il suo percorso professionale ad alto livello è cominciato
da troppo poco tempo. Dal Palermo alla Juventus, il salto di qualità è stato
davvero notevole. Proveniente dall’Instituto argentino dove ha fatto la trafila
delle squadre giovanili dal 2003 al 2011 e poi un anno in Prima Squadra nel
2012, il giovane Dybala viene scoperto dal presidente Zamparini, il quale lo
porta a Palermo nel giugno 2012 per poi cederlo alla Juve nel 2015. Un affare economico
per tutti, sia per Zamparini, sia per la Juve che si è aggiudicato un talento
in grado di dargli una garanzia di qualità tecnica e di plusvalenze economiche.
Arrivato a Torino due anni fa, il talento
argentino non ha trovato subito un posto da titolare nella squadra di Allegri
che, giustamente, ha aspettato un po’ di tempo prima di inserirlo nel suo
schema tattico. Ma appena entrato la prima volta in squadra, la “Joia” ha
subito dimostrato il suo valore dando l’impressione di volersi tenere stretto
il ruolo di attaccante titolare della Juventus. Da qui, un’escalation di
risultati positivi si susseguivano con gol realizzati a grappoli su azione ma
anche su palle inattive, in cui si evincevano sempre le sue qualità tecniche che
sono fuori dalla norma. Ma la maglia numero 10 che la Juve gli ha affidato e
gli esorbitanti elogi mediatici, prima lo hanno esaltato e poi responsabilizzato
troppo per la sua età. E così il ragazzo, dopo avere avuto un inizio di
campionato 2017-’18 davvero scoppiettante, ecco che ad un certo punto (si dice
anche per problemi affettivi legati alla sua ragazza) il Paulo Dybala che tutti
conosciamo è sembrato un altro calciatore, sicuramente carente di quell’autostima
necessaria alla carica del campione quale lui è. Così conosce la panchina e la
delusione di dovere vedere i suoi compagni lottare in campo senza la sua
presenza che, in quel periodo, non sarebbe servita a migliorare la situazione.
E’ l’altra faccia della medaglia che un giovane campione ancora immaturo come
lui deve conoscere per diventare grande in campo e anche fuori. A Verona,
proprio nella terra di Romeo e Giulietta, il Paulo argentino ha dato segni di
risveglio e consapevolezza di volere cercare quella maturità che raggiungerà
soltanto se aiutato dall’ambiente in cui gioca, dai compagni di squadra, dai
media a quali si chiede di essere più misurati nelle sue valutazioni di gioco,
e poi lui stesso che dovrà guardarsi allo specchio tutti i giorni per
razionalizzare la fortuna di avere già raggiunto in giovane età ciò che altri
non hanno. E’ il professionismo del calcio iperpagato che impone una vita seria
e ordinata non soltanto per quanto riguarda l’assiduità e lo sforzo fisico
negli allenamenti, ma anche per ciò che vuol significare la qualità del
quotidiano privato.
Salvino
Cavallaro
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