POKER DELLA JUVE CONTRO IL LECCE, MA C’È ANCORA TANTO DA FARE NEL GIOCO.


Se vincere è l’unica cosa che
conta e se essere andati a +7 in classifica sulla Lazio che è seconda ma con
una partita ancora da giocare, dà respiro per aggiudicarsi lo scudetto, allora
ogni discorso relativo all’analisi del gioco del calcio inteso come coralità di
squadra, viene a decadere. Diciamo questo perché dopo avere visto la partita
vinta per 4 a 0 dalla Juventus contro il Lecce in dieci uomini, continuiamo a
non vedere il gioco d’insieme di una squadra imbottita di campioni che stentano
a sviluppare un insieme di azioni tali da giustificarne l’alto contenuto
tecnico. C’è un motivo portante nella squadra di Sarri, ed è l’evidente
incepparsi davanti a squadre chiuse che partono in contropiede. E non è un caso
che i bianconeri abbiano sofferto contro il Milan, il Napoli e per tutto il
primo tempo anche contro il Lecce. In antitesi, invece, riesce a migliorare l’espressione
del gioco con squadre come il Bologna, le quali scendono in campo con il
desiderio di giocare una partita aperta e magari di batterla questa Juve. E
siccome dal punto di vista concettuale sono poche le squadre del campionato
italiano ad essere supportate da questa idea tattica di calcio propositivo
quando affrontano la Vecchia Signora d’Italia, sarebbe opportuno che Sarri
cambiasse magari modulo, adeguandolo alla squadra che si incontra. Infatti,
sembra ormai troppo scontato l’atteggiamento in campo della Juve, che si basa
soprattutto sulle pregevoli giocate individuali che, tuttavia, sono quasi
sempre imbrigliate dai coriacei difensori avversari, più propensi a distruggere
piuttosto che a costruire il gioco. Così si determina una situazione in cui la
verticalizzazione del gioco viene a mancare, le imbucate sono inesistenti, con
l’inevitabile conseguenza che giocatori come Ronaldo e Dybala diventino giocatori “normali”. Poi, per fortuna
della Juve c’è il guizzo di una giocata individuale che fa la differenza, ma
resta sempre la difficoltà di trovare un gioco che non c’è anche alla luce
della prossima Champions. Insomma, Juve nuova problemi vecchi. Da Allegri a Sarri la Signora è rimasta
con il suo vecchio stile e modo di pensare: “Vincere è l’unica cosa che conta” anche se poi patisce le partite
secche e le finali. Sarri avrebbe
dovuto rappresentare la novità, l’innovazione, la teorizzazione di una
filosofia calcistica basata sull’armonia del gioco di squadra, adatta
soprattutto ad essere competitiva in campo internazionale. Fino ad oggi non
abbiamo visto nulla di tutto questo in una squadra che si affanna, spinge in
avanti, trova muri invalicabili e non trova il modo per aggirare difese chiuse
e protette da un centrocampo attento a chiudere ogni varco. E’ troppo poco
sperare nell’entrata di Douglas Costa
che dribbla anche se stesso e scombina i programmi tattici degli avversari.
Troppo poco sperare nei pregevoli gol di Dybala
che inventa la giocata da maestro campione. La Juventus è squadra di grandi
talenti che sta anche rivedendo attraverso il mercato, di migliorare un
centrocampo apparso vulnerabile e poco propenso a sposare in toto l’idea di
Sarri. Una Juve che appare ancora troppo lontana dalla verve agonistica e dalla
freschezza atletica dimostrata dall’Atalanta di Gasperini. Pensiamo anche che
la Juve di Sarri debba ritrovarsi in fretta sotto l’aspetto mentale della
cattiveria, perché non è ammissibile che dia sempre questa impressione di
squadra che parta con sufficienza, pensando che prima o poi il gol arrivi. Rivedersi
in un gioco di calcio moderno, corale, empirico, che riassuma il concetto di
squadra capace di collegare all’unisono l’aspetto di possesso e non possesso
palla, urge a una Juve che vuole vincere Scudetto e Champions.
Salvino
Cavallaro