LA VENTURAMANIA DI URBANO CAIRO


27-02-2016 – Milan 1
Torino 0. Ventura: “Ho rivisto la mia
squadra”. 06-03-2016 – Torino 1 Lazio 1, un’altra chance perduta. Ventura: “
Se non si segna…..” – “Troppi errori davanti alla porta” – “ Dispiaciuto per il
pubblico”. E’ vero, se nel calcio non
si fa gol non si vince. E poi, che colpa ne ha l’allenatore? Qualunquismo di
uno sport che tante volte riserva alcune analisi affrettate e ovvietà che
scaturiscono dal mare delle banalità. Spesso ci facciamo abbindolare dal
risultato, dalla vittoria e dai gol, quando invece non pensiamo che tutte
queste cose non nascono per caso ma sono figlie di tanti fattori concomitanti
tra loro. Primo su tutti il gioco. Un gioco che rappresenta l’essenzialità di
ogni cosa, e quando l’approccio alla gara non è quello sperato, ecco che l’allenatore
dalla panchina deve correre subito ai ripari nel sapere leggere in tempo e
modificare la chiave tattica del match. Giampiero
Ventura, allenatore di lungo corso e dalle vedute calcistiche non sempre marcatamente
offensive, ha dimostrato in tanti anni che il timore di sbagliare i cambi l’ha
frenato ad agire in tempo utile. La difesa è rigorosamente a 3, il centrocampo
ermetico è a 5 e le punte sono sempre 2 ( almeno sulla carta). Non si cambia
mai. Anche se si perde, non si cambia mai. Succede da sempre, ed è successo anche
in Torino - Lazio. Un pareggio che ha visto lo sviluppo di un buon primo tempo
da parte del Toro e una ripresa che avrebbe dovuto essere diretta in maniera
diversa da parte di Ventura, soprattutto nel momento in cui la Lazio di Pioli
ha cercato ripetutamente il pareggio schiacciando nella propria area i granata.
Ed è proprio in questi momenti che un allenatore deve intervenire energicamente
e capire quale reparto sta soffrendo maggiormente dal punto di vista tattico e
atletico. E così, pur in ritardo, Ventura
toglie al 35’ del secondo tempo Bruno
Peres (5,5 in pagella e partita incolore, la sua) e fa entrare Zappacosta, mentre un minuto prima ha tolto Benassi (5 in pagella e una gara fatta di tante imprecisioni, fin
dall’inizio) e fa entrare Baselli che
a centrocampo non cambia la sostanza delle cose. Questo, naturalmente, è uno
dei tanti casi emblematici che parlano di un rapporto quinquennale giunto ormai
al punto d’arrivo. Più di una volta abbiamo sostenuto la tesi di offrire a Ventura un ruolo da dirigente nell’ambito
della società granata, ma non più da uomo di campo. Non è più tempo, è ora di
cambiare e rinverdire una mentalità di gioco troppo appassita, priva di stimoli
e coraggio. Così com’è, questo Toro non va da nessuna parte. Il presidente Cairo,
dopo avere rinnovato il contratto al suo tecnico, non sembra preoccuparsi più
di tanto, anzi ha dichiarato a chiari lettere che lui Ventura se lo tiene
stretto. Certo, lui è il presidente del Torino e decide il da farsi, ma crediamo
che a Cairo non venga neanche il dubbio di avere giustamente investito su
giovani di valore che, tuttavia, non sono messi in condizione di dimostrare
completamente il proprio valore a causa di un concetto di gioco di squadra ancora
troppo arretrato, sparagnino e fatto di mille timori di perdere. Ma perché mai
in questa società granata, “vincere” non è essenziale? Ma perché mai ci si deve
sempre accontentare di poco o di niente? Ma perché mai non si possa crescere e
puntare in alto, invece di continuare a guardare chi ti passa avanti pavoneggiandosi
del bel gioco e dei punti conquistati in classifica? E’ ora di cambiare. Il
Torino deve cambiare e lasciare che una mentalità giovane, fresca, ambiziosa s’impossessi
del futuro, tenendosi ben stretto il glorioso passato. E, ascoltando gli umori
della sanguigna tifoseria granata, questo è il Toro che vorrebbero.
Salvino
Cavallaro