C'era una volta una squadra che sapeva solo vincere e c`erano una volta dei giocatori,che indossavano la divisa rossoblu. Andavano per i campi polverosi della serie D a difendere i colori della loro maglia, il nome della loro città e la dignità dei tifosi,che li seguivano . Non sembravano una squadra di calcio,ma un manipolo di giovani guerrieri, pronti a lottare su ogni palla per conquistare la loro fetta di libertà: poter gridare ai quattro venti che anche in una cittadina del profondo Sud si poteva scrivere una pagina di calcio storica ed irripetibile.
Hanno vinto tutto ciò che c'era da vincere; hanno vinto per se stessi e per tutti noi,gente di provincia, abituata agli ozi ed ai pettegolezzi di una piccola città del Sud,la cui vita scorre tranquilla e monotona e le giornate,sempre le stesse, incollati ai divani di casa a gustarci lo spettacolo,che la televisione ci propina quotidianamente.
Ma, quando venne il giorno della vittoria, fu festa senza fine. Sembrava che la notte non finisse mai e che anche la luna e le stelle volessero partecipare ai cori di gioia dei tifosi rossoblu. Eravamo in paradiso! Certamente non era la serie A o la B,ma semplicemente la lega Pro,la vecchia serie C e comunque per noi era il paradiso del calcio,quello che anche i nostri padri avevano sognato di raggiungere,senza mai riuscirci.
E la festa durò tutta l'estate e poi sorprendentemente continuò l'anno dopo, anche se di quei giovani guerrieri ne erano rimasti solo due,ma il condottiero era sempre lo stesso e seppe guidarli ancora più in alto,là dove le aquile rossoblu non avrebbero mai sognato di arrivare, ovvero fino ai play-off. Il sogno di un'intera città questa volta però s'infranse proprio ad un passo dalla cima. Sembrava impossibile, la delusione e lo sconforto furono immensi ,anche se presto la gente capì che quel calcio fatto di cuore,di passione,di coraggio e di onestà,in cui la sconfitta,quando arriva, va accettata , perché questa è la legge dello sport: chi è il più forte vince;una legge da rispettare ed accettare;ebbene quel calcio,capirono tutti, era scomparso,sarebbe rimasto nel libro dei ricordi fra le foto ingiallite dei quotidiani sportivi.
Da quel giorno la gente intuì a proprie spese che le sorti della loro squadra dipendevano dalla volontà del "padrino" :era lui a decidere per tutti. Non avrebbero più visto in campo giovani guerrieri,ma fedeli "picciotti" disposti ad eseguire i suoi ordini. Attenzione però a non farlo arrabbiare perché avrebbe potuto cambiare idea e portarci via il "giocattolo". Ma come era possibile che tutto ciò accadesse? In fondo il "giocattolo" lo avevamo visto crescere,lo avevamo protetto,si chiedeva la gente, e adesso "lui" ce lo vorrebbe strappare dalle braccia? Con una cattiveria immotivata il "padrino" mette in pratica tutta una serie di iniziative,che portano allo sfaldamento dell'alleanza fra tifosi e squadra e quindi cede il "giocattolo" a dei "pupi",che gli consentiranno di spremerlo come un limone a suo vantaggio per poi buttarlo tra i rifiuti. Da buon "puparo" lui se ne sta dietro le quinte e mette i pupi ,di cui non si fida,sotto tutela di un "patrozzo", che dovrebbe guidarli e garantire la gestione del giocattolo per consentirne la spremitura. I tifosi, come tutti gli innamorati sono ciechi, gli credono e gli danno fiducia inizialmente,ma successivamente scoprono il loro gioco e inferociti li cercano dappertutto,anche persino nel portabagaglio. Peccato che il puparo se ne stia alla larga e non figuri, perché avrebbe potuto spiegarci il perché di tutta questa cattiveria verso la nostra squadra . Lui anzi cerca nuovi lidi dove estendere la sua malefica potenza e forse adesso ha trovato il suo habitat naturale. I suoi "pupi" però stanno alla deriva, aggrappati alla scialuppa,che imbarca acqua da tutte le parti. Non troveranno amici facilmente, almeno dalle nostre parti,per lanciargli una ciambella di salvataggio. Se vogliono salvarsi dal naufragio, si accontentino di quella che gli viene offerta in questi giorni, perché la gente rossoblu non vede l'ora di mettergli addosso la zavorra e aspetta paziente che "qualcuno", lassù in alto, presenti il conto al loro amato "puparo".
Attilio Andriolo
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