Torino, Juventus, la Champions,
il campionato e tanto di più è stato approfondito con il giornalista di Sky Sport,
Paolo Aghemo. Nato a Torino, Paolo è
figlio del compianto ex presidente del Toro Beppe Aghemo, il quale gli ha
trasmesso la passione per il calcio. Ama la storia ma soprattutto lo sport e il
calcio che ha praticato fin da bambino. Dopo avere frequentato il liceo
scientifico all’Istituto Sociale di Torino, dal quale ha attinto valori etici e
sociali capaci di formarlo e indirizzarlo alla vita, si è laureato in Scienze
Politiche ed ha iniziato a lavorare nei giornali locali. Una professione,
quella del giornalista, che ama in maniera particolare perché si confà con il
suo modo d’essere. Segue in maniera attenta e competente le vicende sportive di
Juventus e Torino curando le interviste ai bordi del campo, oppure in sala
stampa per informarci delle varie novità quotidiane delle due società torinesi.
Oggi abbiamo pensato di intervistarlo per conoscerlo meglio, parlando di tante
cose interessanti che riguardano non solo il calcio. Il suo è un narrare
piacevole fatto di ricordi affettivi che lo rendono orgoglioso, mentre rivelano
un certo tipo di personalità che si evidenzia anche dal punto di vista
professionale. Ascoltiamolo dunque in questa esaustiva intervista, capace di
farci conoscere meglio la persona dal punto di vista professionale e umano.
Paolo,
cosa si prova ad essere figlio d’arte?
“Si prova una sensazione di
grande orgoglio e soddisfazione per quella che è stata la storia, la vita di
mio padre. E ancora adesso sono tanti
gli attestati di stima ricevuti, quando vado in giro e sentono il
cognome che porto con grande orgoglio. Io so che quella sua vita è stata
vissuta con grande passione e che ha saputo trasmettere dei valori, dei
principi e un modo di stare al mondo e rapportarsi con gli altri che, vedendo
queste testimonianze adesso che papà non c’è più, mi fanno capire che è una
strada da seguire. Dall’altra parte dico che non è facile essere figlio d’arte.
Non lo era ai tempi del calcio in cui mio papà era grande protagonista ed io
giocavo, ma non lo è in generale per tutti. Infatti, avendo una figura
genitoriale così importante, forse dall’esterno ci si aspetta che il figlio sia
all’altezza del nome che porta, nell’essere capace di fare ciò che hanno fatto
il padre o la madre. Non è così perché ognuno di noi è diverso, e oggi devo dire che questo confronto l’ho
patito per un certo periodo della mia vita. Poi ho trovato la mia strada e
adesso sto cercando di seguire quel percorso precedentemente tracciato.
E’chiaro che per me papà resta un punto fermo, una luce capace di illuminarmi
nei momenti di difficoltà. E’ come segnare il sentiero da seguire, ma con la
consapevolezza che non potrò mai essere come lui e neanche alla sua altezza.
Lui è stato unico, così come ognuno di noi”.
Ma
c’è qualcosa in particolare di papà che ricordi più d’ogni altra cosa?
“La generosità e la naturalezza,
che però è una caratteristica che ognuno ha oppure no. Ma papà era un
istintivo, un passionale. Tutte doti che però gli hanno creato più problemi che
altro, soprattutto nel periodo in cui è stato presidente del Torino calcio in
cui forse sarebbe stato meglio essere più diplomatici, frenando istinto e
passione. Ma lui era fatto così, non c’era nulla da fare! Dunque, ciò che mi è
rimasto di lui è la generosità, la passione, il rispetto degli altri e anche
quell’intendere la propria professione come qualcosa che ti diverte. E io sono
così nel mio intendere il lavoro di giornalista, esattamente come quando mio
padre curava le pubbliche relazioni all’Unione Industriale di Torino. Sempre
con passione!”
E’
vero che quando eri piccolo facevi la radiocronaca delle partite di calcio del
Toro?
“Non solo del Toro, ma anche di
tutte le partite del “Novantesimo Minuto”. A casa replicavo i servizi di
domenica sprint con il pallone di spugna. Giocavo, facevo l’azione e intanto
facevo il commento dell’azione stessa e mi inventavo i risultati. E, come se
non bastasse, lunedì con i compagni di scuola elementare ricreavamo lo studio
di Paolo Valenti”.
Tu
sei stato alunno dell’Istituto Sociale di Torino per 13 anni. Quale importanza
ha avuto per la tua formazione personale nella vita.
“Fondamentale, perché mi ha
permesso di vivere un’esperienza di serenità nell’adolescenza e nell’infanzia.
L’Istituto Sociale è stato un ambiente che mi ha messo nelle condizioni
migliori per crescere, sia da un punto di vista delle strutture,dei rapporti,
degli insegnanti e del clima che si respirava e coinvolgeva tantissimo la
famiglia. Crescendo, i valori cristiani,
cattolici, di rispetto e di generosità che già si respiravano in famiglia,
venivano assorbiti anche a scuola. Ma anche i valori più tecnici, tipo la
disciplina e le regole da rispettare e seguire, sono state formative. C’è poi
un’apertura mentale che il Sociale è riuscito a darmi, ed è la capacità di
avere dei dubbi e mettersi in discussione con forma di autocritica. Una sorta
di apertura mentale che l’Istituto che ho frequentato per 13 anni è riuscito a
darmi”.
Dal
2007 sei reporter di Sky Sport. Come nasce la tua passione per il giornalismo?
“Nasce da bambino, proprio
quando facevo le cronache delle partite ed avevo una particolare passione per
il calcio, visto che ho anche giocato fin da quando avevo sei anni. Poi,
crescendo, ho sempre avuto l’idea di fare quel tipo di mestiere. Volevo fare il
calciatore, ma ho capito ben presto che non era possibile farlo. Così, all’età
di 17 anni ho cominciato a scrivere sui giornali locali. Da lì in avanti ho
capito che era una cosa che mi piaceva fare e così ho continuato”.
Parlando
del Toro, che idea ti sei fatto della squadra di Walter Mazzarri?
“Mi piace e penso positivo. Con
Mihajlovic c’era una situazione difficile a livello di feeling, di clima pesante
tra lo staff tecnico e la proprietà. Non si percepiva più anche a pelle
quell’unità di intenti e condivisione che è necessaria tra le parti. E poi
alcune divergenze sulla comunicazione e la valorizzazione di alcuni giocatori, che si
concretizzavano in risultati negativi. Con Mazzarri credo che Cairo abbia
trovato un allenatore che sa valorizzare quello che ha. Il nuovo tecnico non
chiede più di quanto la società possa dare, e poi in questa squadra che è da
ritenersi buona per come è stata costruita, il nuovo tecnico sta apportando delle
modifiche tattiche tali da valorizzare i giocatori che già dimostrano un ottimo
atteggiamento in campo e grande attenzione in fase difensiva. Tutto questo
dimostra che Mazzarri è in grado di sfruttare al meglio le caratteristiche
tecniche di ogni giocatore. Ad esempio c’è il Baselli di turno che è stato messo
in un ruolo diverso, piuttosto che Ansaldi inserito a centrocampo, Niang che
sta facendo bene e Iago Falque che continua a fare benissimo e non viene mai
tolto. Tutto ciò ci fa capire come Mazzarri stia cercando il miglior schema
tattico, funzionale alle caratteristiche tecniche dei suoi giocatori e non
viceversa”.
Paolo,
ma perché il Torino non vince più lo scudetto da troppi anni?
“Il primo motivo è economico,
visto che c’è un gap talmente alto con le prime in classifica che hanno un
cospicuo fatturato. Oggi come oggi è impossibile sostenere il costo dei grandi
campioni e dei loro ingaggi. Un monte ingaggi come quello che ha la Juventus, per
il Torino è praticamente impossibile sostenerlo e anche soltanto immaginarlo. Una
volta si cercava di coprire queste differenze lavorando sui giovani. Adesso i
giovani di valore ambiscono ad alti livelli con grandi palcoscenici e vengono
subito acquistati da altre società. Quindi è praticamente impossibile trattenerli,
a causa di una alta richiesta economica che il Torino non può sostenere”.
Ecco
Paolo, tu hai toccato un tema di grande attualità: i settori giovanili. Quanto
è responsabile la FIGC di avere ormai da troppi anni non supportato le società
di calcio a incrementare la valorizzazione dei giovani calciatori?
“Credo che la Federazione
interverrà presto, perché c’è stato questo cambio di rotta oltreché di uomini,
per un intervento con i centri federali piuttosto che con altri sistemi e
metodologie atte ad aiutare i giovani e le società. Quindi, si auspicano
maggiori incentivi affinché i club siano portati ad investire ancor più di
quanto non facciano adesso, cambiando un certo tipo di cultura nella reale
valorizzazione dei giovani calciatori”.
Qual
è il tuo pensiero sul campionato attuale?
“Il Napoli gioca benissimo, è
una squadra spettacolare, ma la Juventus è la grande squadra che vince anche
quando non gioca bene e quindi è più forte. All’estetica del Napoli si oppone
la mentalità vincente dei bianconeri, che per me sono i favoriti a vincere lo
scudetto. La rosa della Juventus a livello di qualità e alternativa, è
sicuramente superiore a quella della squadra di Sarri. Io credo che il Napoli
farà molta fatica a mantenere il livello attuale, perché giocare su due fronti
significa avere una rosa ampia di giocatori di qualità. La Juventus, invece,
andrà fino in fondo in tutte e tre le competizioni, o comunque ci proverà
perché ha i mezzi per farcela”.
Parlando
di Napoli. Pensi che sia soltanto un limite economico quel suo insistere sempre
sugli stessi giocatori, oppure è una mentalità apportata da Sarri?
“A livello economico il Napoli
non ha le stesse possibilità della Juve che ha un fatturato superiore. Però la
Juve insegna che certi affari economici si possono fare spendendo poco e a
parametro zero. Questa società è brava ad andare a prendere giocatori, prima
ancora che esplodano e che diventino calciatori a livello internazionale. Aveva
preso Vidal che era un buon giocatore ma non grandissimo come poi è diventato,
aveva preso Pogba a parametro zero, Coman che poi era andato al Bayern a
parametro zero. E quindi bisogna avere anche la capacità di fare certi colpi, anche
senza grandi potenzialità economiche. Il Napoli ha fatto sicuramente
grandissime operazioni, ma probabilmente in questo momento la Juve è più brava,
grazie anche alle idee e alla vasta rete di osservatori capaci di scoprire quei
giocatori che servono a quel tipo di squadra”.
Che
idea ti sei fatto del mezzo passo falso della Juve di Champions contro il
Tottenham?
“Un blackout inaspettato. La
Juventus ha iniziato la gara nel migliore dei modi, ha segnato due reti con
Higuain e giocato un ottimo calcio, ma poi ha dato troppo campo agli avversari
che hanno approfittato della situazione e hanno terminato la gara in parità. Ma
ha ragione Allegri quando sostiene che non è il caso di drammatizzare per
questo mezzo passo falso della Juve. Il Tottenham è un’ottima squadra dal
centrocampo in avanti, ma è apparsa vulnerabile in difesa”.
Cosa
pensi delle critiche che sono state fatte in questa occasione al pipita
Higuain?
“Le ritengo esagerate. A mio
avviso, pur avendo sbagliato un rigore, l’argentino ha fatto un’ottima partita
non solo per aver segnato due gol, ma anche per aver sostenuto il centrocampo
in fase di contenimento dell’avversario. Ma attenzione, perché il pipita si
esalta sempre quando viene pungolato dalla critica, e poi nella partita
successiva in genere sfodera prestazioni ancora più grandi. Per questo motivo
penso che sarà il primo giocatore della Juve, che il Toro dovrà temere nel
derby”.
Già,
il derby di domenica prossima. Qual è il tuo pensiero in merito?
“La Juve è nettamente favorita,
però attenzione a Mazzarri e al Toro che soprattutto contro le squadre più
forti riescono a leggere gli aspetti che rappresentano i punti deboli
dell’avversario. Il Toro ha incartato molto bene la Sampdoria, con l’Udinese ha
fatto una partita intelligente, essendo disposta bene in campo e dimostrando la
capacità ad adattarsi bene all’avversario. Ed è proprio attraverso la
rivoluzione tattica che c’è stata con l’avvento di Mazzarri, che si riescono a
trovare i punti deboli dell’avversario per poi colpirlo; a differenza del Toro
di Mihajlovic in cui bisognava attaccare e fare la partita con il pericolo di
esporsi immancabilmente alle qualità dell’avversario. Quindi, Juve favorita. Ma
attenzione a questo Toro che non parte sconfitto e cercherà di aggredirla alta”.
Secondo
te i granata riusciranno ad entrare finalmente in Europa?
“Ritengo che quest’anno sia
difficile, perché c’è la Sampdoria che sta facendo una grande stagione, c’è il
Milan che verrà fuori, c’è l’Atalanta che è una squadra che ha uno zoccolo duro
e Gasperini la fa giocare benissimo e con meccanismi giusti. Mazzarri è
arrivato in corsa, il Torino non è stato costruito da lui e per forza di cose
si trova a far rendere al meglio una squadra non sua. Credo che il Torino abbia
ancora bisogno di un paio di innesti da inserire su questo telaio. Mi riferisco
soprattutto a un centrocampista di qualità superiore da inglobare in un
centrocampo già ricco di incontristi. E poi tutto dipenderà dal gallo Belotti,
se resterà o meno. Sì, perché se le strade tra il centravanti e il Torino
dovessero dividersi, la società dovrà pensare a un sostituto che sia
all’altezza della situazione come ad esempio Duvan Zapata, che secondo me è il
giocatore perfetto per l’attacco del Toro”.
Salvino
Cavallaro
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