Dream. Il sogno. Sì, si può sognare ad occhi aperti e rendersi a mala a pena conto che quella realtà da sempre sperata ora è viva, vera, legittima. Visitando lo Juventus Museum di Torino mi sono soffermato su alcune fotografie che rappresentano il “Come eravamo” della storia della Juventus. Passa attraverso i miei occhi l’excursus storico della Vecchia Signora, gli anni della gloria e i volti dei campioni che ne hanno fatto la sua straordinaria storia fatta di molti scudetti vinti. Tra tanti , chissà perché, mi soffermo su Pietro Anastasi. Sarà perché è siciliano come sono io, sarà perché quell’espressione del suo volto dopo aver segnato un gol trasmette tutta la sua rivincita di uomo venuto dal sud negli anni della speranza del benessere economico, fatto è che quello sguardo mi ha colpito in particolar modo. Dietro quegli occhi ho rivisto la Sicilia di allora, la terra riarsa dal sole e la fuliggine polverosa eruttata dall’Etnea che cosparge di nero la sua Catania. Lapilli e scatti dorati fecero di lui il giocatore istintivo dalla corsa impetuosa e dai gol di rapina che nascondevano il non perfetto bagaglio tecnico che si evidenziava anche nella precarietà di uno stop non proprio perfetto. Ma Pietruzzu ha rappresentato molto di più che essere semplicemente il famoso calciatore della Juventus che con lui ha vinto il primo scudetto bonipertiano nel campionato 1971- ’72 segnando 11 gol, Pietruzzu venuto da Catania passando per Varese è il simbolo vivente della rivincita sociale di una Sicilia che da sempre è sembrata essere troppo indietro rispetto al nord d’Italia. “Pietro Anastasi finì per essere il simbolo di un’intera classe sociale: quella di chi lasciava a malincuore il meridione per andare a guadagnarsi da vivere nelle fabbriche del Nord”. Così scriveva Alessandro Baricco, torinese di nascita, poeta, saggista, sceneggiatore, regista e noto esponente della narrativa italiana. Dream, il sogno di un ragazzo catanese nato nel lontano 1948 in una famiglia povera, era quello di sfondare nel calcio per aiutare la sua famiglia che viveva un quotidiano fatto di sacrifici veri. Sette persone della sua famiglia, lui compreso, vivevano in due stanze in una casa della Catania di allora che non offriva nulla se non la speranza di una vita migliore. Come per altri ragazzi il suo problema fu la scuola, visto che non gli piaceva. Un giorno a scuola e un altro nei campi impolverati di Catania e provincia a giocare a piedi nudi, giusto per non sporcare le uniche scarpe possedute. Poi il calcio diventò la sua ragione di vita, il sogno da realizzare dal quale non poteva prescindere in nessun modo. Passione e speranza di una vita migliore si intersecavano tra di loro. C’era una spinta che si manifestava in lui e non sapeva bene se era più forte la voglia e la passione di giocare al pallone per arrivare ad alti livelli, oppure era il desiderio profondo di guadagnare quel denaro che potesse migliorare la condizione economico – sociale di tutta la sua famiglia. Ma forse erano entrambi le cose, perché l’una era dipendente dall’altra. E così Pietruzzu, bravo com’era a giocare a pallone fu baciato dalla fortuna che fu rappresentata dai dirigenti del Varese d’allora che si accorsero di lui vedendolo giocare nelle fila della Massiminiana di Catania. La scuola restò un miraggio, ma il calcio lo ripagò di quanto lui sognava di notte ma anche di giorno, quando a piedi scalzi e nei campi polverosi di una Catania povera, Anastasi era uno qualunque, un ragazzo il cui unico scopo era rappresentato dal fare gol alla vita. E’ una bella storia quella di Pietruzzu, una delle tante situazioni di vita che ti emozionano per la difficoltà di scalare un successo da sempre sognato, con la necessità di migliorarsi dal punto di vista sociale ed economico. Eppure lì, in quel Museo della Juventus, tra innumerevoli campioni passati alla storia, lui rappresenta ancora oggi qualcosa di diverso che va oltre il legittimo riconoscimento del campione di calcio che è stato, perché Pietruzzu Anastasi è stato ed è il siciliano orgoglioso di essere venuto dal nulla e di essersi costruito da solo con le proprie forze. Mamma e papà, i suoi fratelli e le sorelle sono orgogliosi di lui che è stato capace di portare alto il buon nome della famiglia Anastasi che, grazie a lui, è conosciuta in tutto il mondo. Com’è strana la vita e com’è legata a momenti, a circostanze, a situazioni che mai avresti detto. Pensate cosa sarebbe stata oggi la sua bellissima storia se quel giorno, in quel campo polveroso di Catania tra le fila della Massiminiana, Anastasi fosse passato inosservato agli occhi di quel dirigente varesino che lo volle portare a nord dell’Italia calcistica. E’ il mistero della vita, è la sua meravigliosa imprevedibilità che non finisce mai di stupire ed affascinare. In fondo ognuno di noi può raccontare la propria storia di vita, ognuno di noi può sfogliare le pagine del percorso della propria vita, ma non tutti possono vantare la bravura e la fortuna di essere arrivati al successo. Pietruzzu Anastasi sì, lui ha alle spalle una storia bellissima fatta di ricordi che sono l’emblema del successo accarezzato fin da quando piccolino, in quel campetto polveroso di Catania, rincorreva quel pallone che da sempre ha rappresentato il sogno da realizzare. Dream! Lui il suo sogno di vita l’ha realizzato, non è stato facile ma l’ha realizzato. Ed ancora oggi con la sua pelle scura che sembra perennemente riarsa dal sole, il suo sguardo fiero e scaltro che spicca sopra le folte sopracciglia e il suo sorriso che mostra i bianchi denti, sembra ancora gioire dopo aver fatto il gol decisivo per lui, per la sua famiglia, per i suoi affetti più cari, per la sua Sicilia e per la sua Juventus di sempre.
Salvino Cavallaro
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