QUEL MALEDETTO RIGORE CHE NON CANCELLA UN ANNO STRAORDINARIO


In casa granata si riflette, si
pensa amaramente a ciò che avrebbe potuto essere e non è stato. Al Franchi di
Firenze la partita che doveva aprire l’Europa alla squadra di Ventura, è finita
2 a 2. In Europa ci va il Parma di Donadoni che soltanto una settimana prima
aveva raccolto all’Olimpico di Torino, un pareggio che faceva già pensare a ciò
che poi è realmente accaduto. Eppure in fotofinish la squadra granata aveva
ancora avuto l’opportunità di cogliere l’attimo fuggente, quell’opportunità
data da un penalty che avrebbe dovuto essere trasformato da quell’Alessio Cerci
che con Ciro Immobile è stato l’artefice indiscutibile di questo Toro targato
2013’14. Tuttavia, al di là della comprensibile amarezza, desideriamo
analizzare a mente serena e lontano da ogni inevitabile espressione emozionale,
ciò che veramente non ha dato modo al Torino di entrare nell’Europa del calcio.
Una volta tanto non ci sembra giusto che il popolo granata si rifugi nella
retorica della sfiga cosmica che fa parte della lunga storia del Toro e non ci
sembra neppure giusto fare appello a un destino chiamato “sofferenza granata”. No, questa volta non è davvero possibile
crogiolarsi nell’abbandono di un immaginario collettivo granata che fa capo al
fato avverso. Pur inchinandosi al merito di un campionato condotto in maniera
davvero meritevole, la squadra di Gianpiero Ventura è mancata nella
personalità, nell’essere cinica, nell’essere attenta e nel non allentare mai la
tensione. Il calcio di oggi ci insegna che in campo si va per 95 minuti e per
tutto il tempo non è possibile distrarsi per nessun motivo. A parer nostro il
Toro è mancato da questo punto di vista. Un piccolo neo che fa ancora la
differenza, un qualcosa che all’apparenza sembrerebbe di poco conto e che
invece racchiude la sostanza del calcio moderno fatto di grande grinta,
determinazione, forza atletica, mentale e tanta furbizia. Tutte queste cose
fanno capo a un solo comun denominatore che si chiama “crescita”, che si chiama “maturazione
di squadra” e, al suo interno, il Toro ha tanti giovani che stanno
crescendo sotto l’ala protettiva di un coach dalle grandi esperienze e
conoscenze del pallone italiano. Ventura non si discute, ma non si discute
neppure la squadra del Toro che in un momento così amaro potrebbe far
dimenticare per un attimo ciò che di significativo ha fatto. Un Torino che ha
nel suo organico quattro Nazionali (Cerci, Immobile, Darmian e Tachtsidis
convocato per i prossimi campionati mondiali dalla nazionale greca), che ha il
capocannoniere del campionato, che ha degli ottimi centrali di difesa e che ha
pure tanti giovani come Maksimovic, El Kaddouri, Larrondo, Darmian e lo stesso
Immobile. Tra qualche giorno, quando la delusione sarà lentamente stemperata, è
bene ripartire da dove si è concluso. Cairo ha promesso di fare il possibile
per trattenere i suoi pezzi pregiati e di rinforzare comunque la squadra,
proprio come se in Europa ci fosse andata davvero. Sì, perché questo anno fatto
di grandi positività granata e di esperienze anche amare che aiutano a
crescere, non devono e non possono essere disperse. Sì, perché questo Torino
non può più iniziare il campionato 2014’15 con il semplice sogno dell’Europa da
realizzare, deve iniziare come l’obiettivo da raggiungere. Un obiettivo che è
nelle corde di questo Toro che non ha più tempo di pensare alla sua sfiga. Da
adesso in avanti bisogna pensare da grande squadra. Basta piangersi addosso!
Salvino
Cavallaro