“Sono
contento di tornare a respirare il profumo dell’erba”. Una
frase emblematica che Emiliano Mondonico
disse sette anni fa dopo avere subito un delicato intervento chirurgico per un
tumore all’addome. Sembra ieri che è ritornato a vivere in mezzo ai suoi
giocatori, al pallone che è vita e che per lui non ha mai smesso di rotolare.
Negli ultimi anni è apparso spesso in TV come opinionista della Domenica
Sportiva durante gli Europei del 2014. Da qualche tempo si era ritirato dalle
scene pubbliche per riposarsi, ma senza mai mollare quello spirito combattivo
che lo ha caratterizzato lungo l’arco della sua vita. Ma oggi, dopo avere
lottato tanto ed essere stato l’allenatore che portò la classe operaia del
calcio in paradiso, il “Mondo” ci ha lasciato. Aveva 71 anni ed era un gran
conoscitore di quel calcio che per lui era fatto di pragmatismo piuttosto che di
fatiscenti estetismi. Palla lunga e pedalare. Era concettualmente il suo
calcio, la sua idea di gioco in cui bisognava fare molta attenzione all’avversario
per poi colpirlo in contropiede. Una cultura antica che ha dato i suoi frutti e
che lo ha reso l’allenatore che disse: “la
partita non è finita finché non è finita”. Un po’ come dire che bisogna
crederci fino alla fine e non mollare mai. Così come ha fatto con la sua
malattia, capace com’è stato di affrontarla e combatterla a viso aperto.
Mondonico viveva un mondo a sé rispetto ai colleghi più illustri e blasonati di
lui, era uno che preferiva i fatti alle parole. Ha allenato molte squadre, ma
quelle con cui ha scritto una parte di storia indelebile sono state principalmente
Atalanta e Torino. A Bergamo è
arrivato dalla Cremonese e nel campionato ’87- ’88 ha guidato l’Atalanta di
Stromberg che militava in Serie B. Finalista in Coppa Italia, ha partecipato
alla Coppa delle Coppe arrivando in semifinale. Il 4-4-2 era il suo credo
tattico, quello pragmatico che si opponeva all’estro del Napoli di Maradona, del Milan di Sacchi e dell’Inter che mieteva successi su successi. Così l’Atalanta,
pur non avendo in squadra i grandi campioni, con Mondonico si piazzò al sesto
posto nell’89 e fu settima nel ’90. Comincia quindi la sua scalata al Toro di
Borsano, dove trova quel Lentini che
sembrava essere il suo erede ufficiale per caratteristiche simili alle sue. Ma
in quel Toro c’erano anche Mussi e Fusi in difesa, l’ex giocatore del Real Madrid Martin Vasquez, Vincenzo Scifo, Casagrande e un giovanissimo Christian
Vieri. Quel campionato ’91-’92 per il Toro fu un anno da ricordare per i
dettami del “Mondo”, per i suoi giocatori di grande levatura tecnica e per il
fatto che i granata si classificarono al terzo posto in campionato e furono
finalisti di Coppa Uefa dietro l’Ajax, dopo avere eliminato il Real Madrid. Ma
l’immagine indelebile di Mondonico, cui è legato il vero spirito Toro, resta sempre
quell’episodio di storia granata in cui il 13 maggio del 1992 in occasione
della finale di ritorno contro l’Ajax ad Amsterdam, alzò al cielo una sedia in
segno di protesta contro l’arbitro, il quale non diede al Torino un sacrosanto
rigore che gli costò l’ingiusta sconfitta. In quella occasione emerse l’animo
di un Mondonico capace di controbattere vivacemente il macroscopico errore
arbitrale, che sgretolò il grande sogno granata di vincere quella Coppa. Nostalgie
e rimpianti si intersecarono ai ricordi in agrodolce di quegli anni che
rappresentarono il simbolo di un Toro che si sposò bene al temperamento del “Mondo”.
Sembravano nati l’uno per l’altro. Così lo ricordano oggi al Toro, con l’affetto
incommensurabile verso chi ha dato tanto nel rispetto della grande storia
granata. E’ la storia di un allenatore unico e di un uomo che ha saputo
associare alla tecnica e alla tattica delle sue squadre, quei valori sportivi
che vanno oltre le mode di un calcio che è cambiato nel tempo. Per questo oggi
il pallone rotola a fatica; piange la scomparsa di un uomo speciale e
pragmatico come il calcio che intendeva. Adesso, c’è un “Mondo” anche lassù.
Salvino
Cavallaro
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