Il 4 marzo 2012 l’erede dello Special One, Villas Boas, cade. Cade dopo numerose sconfitte. Cade dopo aver distrutto uno spogliatoio, già molto difficile di suo: troppo importante il pensiero dei vecchi senatori, delle vecchie glorie. Abramovic, che aveva visto nel volto del tecnico portoghese i tratti e le convinzioni di Josè Mourinho, suo prediletto, si trova senza certezze e chiama alla guida dei londinesi un italiano vero: Roberto Di Matteo. Lui non è special, non è affermato. Lui è ‘the normal one’ ma soprattutto lui è ‘the italian one’.
Perché sarebbe assurdo pensare al Chelsea senza pensare alla nostra penisola: da Gianfranco Zola a Gianluca Vialli fino ad arrivare a mister Ancellotti. E per l’allenatore ex Lazio proprio l’Italia è stata dolce ma alla fine, soprattutto, fatale. Il suo primo grande miracolo, infatti, fu quello di eliminare i partenopei di Mazzarri dopo il disastro ereditato da Villas Boas. Finì 4-1 a Stamford Bridge dopo 120 eterni minuti. Roberto conquistò il cuore del pubblico e non solo: soltanto abbracci dai vecchi senatori per il neo tecnico. Segnarono capitan John Terry, segnò Lampard, segnò Drogba e infine anche Ivanovic. Quattro bandiere del club di Londra, quattro bandiere risorte. E non è un caso che proprio ieri sera tre di questi mancavano: i due inglesi sono alle prese con infortuni mentre Didier è a ciondolarsi in Cina.
Branislav, invece, era presente sul terreno verde dello Juventus Stadium e potete pure chiedere a lui che razza di giocatore è Asamoah. Dal Napoli alla Juventus, dalla Campania al Piemonte. That’s Amore. Sono cambiate tante cose da quella sera ‘napoletana’. Principalmente una. Da ieri sera, o questa mattina, Roberto non è più l’allenatore dei blues.
Troppo pesante il k.o. per convincere patron Roman a continuare con Di Matteo. E in mezzo a queste due partite cosa c’è stato? Cosa ne è stato del Chelsea? Solo gloria. Prima la FA Cup, trofeo a cui i blues sono abbonati, poi, soprattutto, la Champions League, la prima nell’era di Abramovic e nella storia del club. Le cose mutano perpetuamente e l’ormai ex allenatore lo sa. E lo si è intuito in modo eclatante nella conferenza pre match: per i giornalisti lì presenti, probabilmente, non è stato difficile notare la paura sul suo volto e nelle sue parole. Stava finendo un’era, breve ma intensa, intensissima. E’ finita nel modo peggiore per un allenatore: sbagliare tutto. Diciamocelo chiaramente: Di Matteo ha clamorosamente fallito nel modo di affrontare la partita e nella formazione (Azpilicueta, classico terzino, nei tre uomini offensivi non si poteva davvero vedere). Non l’aveva capito che questa Juventus, nel suo stadio, non si affronta certo in questo modo. Non nel modo in cui si è vinto tutto, per bravura o grazia divina. Difendersi allo Juventus Stadium: il primo passo verso una sconfitta sicura. I tabloid inglesi ci sono andati giù pesanti: ‘così si affrontano i bianconeri?’, ‘come le è venuto in mente di mettere un terzino come seconda punta?’, ‘Pensa di avere sbagliato tutto?’. Si, caro Roberto, hai sbagliato tutto. Too Italian. Troppo catenacciaro anche per noi italiani. Ora tocca difenderti, davvero, ma dalle accuse di tabloid, tifosi e società. Finisce così, nel peggiore dei modi, la storia inglese di un italiano.
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