E ADESSO SI CRITICA IL TORO, CAIRO E MIHAJLOVIC


Come tutto il Toro, anche Sinisa Mihajlovic è sui carboni ardenti. Storie di un calcio che non dà
vittorie e, come tale, è soggetto ad aspre critiche. Certo, in alcuni momenti è
difficile mantenere l’equilibrio, tuttavia, lasciarsi andare non è mai cosa positiva.
Mihajlovic è un allenatore capace e vede il calcio in maniera propositiva. Ma il
suo essere eccessivamente sanguigno e irascibile, fa in modo che egli si
accenda come un cerino al minimo insuccesso. Il suo è un carattere difficile,
ma questo lo si sapeva anche prima del suo arrivo. E, se è stato preso alla
corte del presidente Cairo, evidentemente ci saranno state alcune credenziali
che hanno giocato a suo favore. Quali? Ad esempio essere un grande motivatore,
capace di instillare nei suoi giocatori quel sacro fuoco che significa spirito
di squadra, compattezza e coesione. Poi si può discutere sul suo modo di
mettere 4 o anche 5 punte quando vuole raddrizzare un risultato, ma,
evidentemente, queste cose sarebbero state apprezzate qualora il Torino, con il
serbo in panchina, avesse fatto quel salto di qualità che tutti i tifosi
granata speravano. Partito alla grande, il Torino si è perso per strada con un apparente
“senza perché”. Ma un perché c’è sempre, e anche in questo caso in cui
cerchiamo di dare una spiegazione attraverso la nostra analisi sul momentaccio
del Torino, la logica ci suggerisce che ci sono più colpe da ripartire. I
giocatori sono qualitativamente di buon livello tecnico ma sono giovani e, come
tale, soggetti a sbalzi di rendimento. Mihajlovic, con il suo modo di dire
certe verità in conferenza stampa, non agevola l’ammorbidimento di certe
sconfitte che, se analizzate a bocce ferme tra le mura dello spogliatoio,
avrebbero sicuramente l’effetto dovuto. Ma lui è così, lo è sempre stato, e non
per questo è da considerarsi un tecnico negativo. La sua filosofia di essere
sempre concentrato e teso come corde di violino, non l’aiuta a somatizzare
certe sconfitte che, qualche volta, diciamolo pure, hanno anche il sapore dei
suoi sbagli. Ma questo ci sta pure in un calcio che non dà più frutti e
vittorie. E allora, come mai all’inizio abbiamo visto un grande Toro dal gioco
spumeggiante e gol a grappoli, mentre adesso manca il gioco e i gol di Belotti
non garantiscono più la vittoria? Frutto di disattenzioni difensive e di centrocampo
che, peraltro, sono emerse anche in tempi non sospetti, quando i granata
vincevano ed erano in alto alla classifica. Con tutto il rispetto per Castan e
Rossettini, lì in mezzo ci vuole ben altro per essere competitivi in campionato
e aspirare all’Europa. E poi a centrocampo manca sempre il ragionatore, l’ispiratore
delle azioni, il metronomo capace di dettare i tempi di gioco in fase offensiva
e di interdizione. Un giocatore come Giaccherini, che ha grande qualità tecnica,
saggezza tattica, intelligenza, correttezza e ottimi piedi in grado di fare
anche tanti gol. Peccato, perché questa estate il Toro aveva avanzato un timido
interesse per questo giocatore. Ma, evidentemente, invogliato da un alto
ingaggio ha preferito accasarsi a Napoli, dove però Sarri lo impiega molto
raramente. Sarebbe dunque il caso di bussare a quella porta, ma Cairo dopo
avere speso soldi per i vari Iago Falque, Ljajic, Belotti, Valdifiori, e l’anno
precedente per Benassi, Zappacosta, Baselli, non crediamo sia disposto a grandi
spese, almeno in questo mercato invernale. Si vocifera l’interesse a Lucas Castro
e Niang, ma nulla di concreto c’è in questo momento. Dunque, c’è una spiegazione logica a questo
rallentamento improvviso del Torino, che allo stato attuale delle cose non ci
sembra soltanto imputabile all’allenatore e al suo essere Dr Jekyll e Mr. Hyde.
Sarebbe troppo banale e superficiale. Il presidente Cairo dia al tecnico
granata i ritocchi richiesti, senza essere tentato di vendere questa estate il
suo pezzo pregiato che si chiama Andrea Belotti. Certo i soldi incassati
sarebbero davvero tanti e fanno gola, ma questa è una storia vecchia in casa
granata, il focus di una società con grandi limiti e incapace di crescere. Ma se
questa svolta mentale, gestionale e organizzatrice di crescita ci deve essere,
si ragioni col cervello senza pensare alla tasca. A nostro avviso la squadra c’è
già, e manca poco per essere completata. Non si renda vano ciò che si è
costruito fino ad oggi, andando a guardare la pagliuzza nell’occhio di
Mihajlovic, mentre si ignora la trave che spicca all’interno della squadra.
Salvino
Cavallaro