Dallo show di mister Gagliardi,
l’allenatore della Reggina che in conferenza stampa si scaglia contro i
giornalisti presenti i quali, a suo dire, non avrebbero sensibilizzato
positivamente i tifosi reggini ad accorrere numerosi allo stadio per assistere
alla delicata partita casalinga contro il Varese, allo sfogo legittimo di Sandro Mazzola che nel corso della
trasmissione radiofonica dell’emittente Kiss
Kiss, si è messo a piangere nel commentare gli striscioni vergognosi degli ultrà
juventini contro la memoria del Grande Torino. Due estremi, due manifestazioni
diverse di vivere il calcio in maniera contraddittoria. Da una parte
l’irascibilità dell’allenatore reggino Gagliardi che ricorda le antiche
conferenze stampa di Malesani e Trapattoni e poi l’altra faccia della
medaglia del calcio, quella disarmante di Sandro Mazzola che non regge alle
offese dei soliti cretini di turno. Si potrebbe pensare a due situazioni che
non hanno alcuna attinenza tra di loro e che queste due manifestazioni così
estreme, espresse dal mondo del calcio, siano lontane per temi e circostanze diametralmente
opposte. Tuttavia, pensando allo sfogo dei due personaggi presi in
considerazione, non possiamo non fare riferimento alla rabbia come
manifestazione estrema dell’uomo. Una reazione emotiva scatenata da fattori che
spesso nel calcio emergono in maniera preponderante. L’allenatore della Reggina
è stato furibondo con i giornalisti che ha reputato “colpevoli” di non avere
tutelato gli interessi della società e della sua squadra, cercando di
disgregare piuttosto che unire i tifosi a stare vicini proprio nel momento che
si ha maggior bisogno di loro. Stessa la rabbia che però scaturisce in lacrime,
è quella di Sandro Mazzola figlio di Valentino, il capitano del Grande Torino. “Non riesco a capire” dice sconfortato e
in lacrime Mazzola “perché in Italia non
si faccia mai nulla per punire certe persone. Allo stadio siamo tutti schedati,
eppure non si fa nulla per punire in maniera decisa. Quando si offende la tragedia,
la storia, i morti, ebbene, si deve avere la mano pesante chiudendo le porte
dello stadio per lungo tempo. Sono fatti gravissimi. Si tratti della tragedia
di Superga come quella dell’Heysel, non è ammissibile offendere la memoria in maniera così gretta e gratuita”.
E continua ancora il buon Sandro: “Non si può dimenticare ciò che è stata quella squadra del Grande Torino, la leggenda, la storia degli Invincibili che è stata scritta negli annali e che ha segnato una parte indelebile del calcio italiano e mondiale. Davvero, non si può dimenticare e, soprattutto, non si può e non si deve offendere. Serve tutela da parte di chi il calcio lo dirige”. Capiamo lo sfogo e la rabbia di Sandro Mazzola, che in quel fatidico 4 maggio 1949 in cui si consumò la
tragedia di Superga, aveva solo
sette anni. Sono assolutamente legittime le sue lacrime di dolore, per una
ferita che non si potrà mai rimarginare. Non basta certamente la sanzione di 25
mila euro di multa alla Juventus per ripagare l’offesa e il dolore provocato al
figlio di capitan Valentino Mazzola e alla storia del Torino. C’è da rivedere
certamente qualcosa. La rabbia dunque, quale sentimento ricorrente nel mondo
del pallone. Ingiustizie, offese, cattiverie si manifestano con regolarità, e
quando diciamo che in fondo il calcio non è altro che la metafora della vita,
ci riferiamo anche a questo aspetto negativo del pallone che ben si addice alla
realtà sociale contemporanea. Una crescita culturale che stenta a emergere
definitivamente. Peccato, perché questo non ci mette certamente in buona luce
davanti al resto del mondo.
Salvino Cavallaro
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