Essere presidente del Toro non vuol dire
vedere il calcio come semplice passione distensiva della domenica. E non vuol neppure
giustificare la sistematica dipartita da Milano per venire a Torino, sistemarsi
sulla seggiola della tribuna vip dello stadio e rilassarsi allontanando gli
eventuali pensieri di lavoro legati a RCS,
LA7 e CAIRO COMMUNICATION. No, non basta, perché si dà il caso che quella
squadra di Torino che viene a vedere per sola passione calcistica è un’altra
delle sue aziende, presidente Cairo. Questo è bene ricordarlo, qualora se ne
fosse dimenticato! Parlare della crisi del Toro ci sembra quasi di continuare a
sparare sulla croce rossa. Dopo avere scritto di tutto e di più su questo argomento
che è stato pensato e pubblicato senza mai un riscontro di miglioramento,
adesso è anche difficile non disarmarsi davanti a un’evidenza diventata persino
stucchevole. Quattro sconfitte consecutive non sono cosa da poco. La contestazione
manifestata durante la partita casalinga contro la Fiorentina, è chiara di una
situazione insostenibile che affonda le sue radici proprio nei meandri di una
molteplicità di errori fatti senza fine. A questo punto disamorarsi di Toro
diventa quasi terapeutico, anche in coloro che quando si incontrano per strada hanno
ancora voglia di dire la solita frase: “FORZA
TORO” – “SEMPRE”. Sì, forza Toro per sempre! Ma la delusione di una società
vecchia, incapace, pragmaticamente portata al denaro da incassare e spendere
centellinando ogni minimo movimento capace di inibire le idee progressiste nel fondare
un progetto moderno di calcio vero, beh, lasciatecelo dire, snerverebbe persino
i più tiepidi affezionati a una tifoseria che storicamente è tra le più appassionate
d’Italia. Figuriamoci tra i più accesi! Il Torino è ammalato. Questo è
evidente! Due tecnici (Miahajlovic e poi Mazzarri), una squadra di mediocri, un
presidente, un direttore tecnico e uno staff dirigenziale preposto a studiare
il presente e il futuro granata, hanno fallito su tutto.
Forse la cultura del
Torino calcio deve cambiare cominciando dalla propria gente e dagli antichi
pensieri che parlano sempre di “sfiga cosmica”, piuttosto che di “tragedie
senza fine”. Non c’è passato se non c’è presente. E se non c’è presente, come
potrà mai esserci un futuro? La dirigenza Pianelli fu la prima a fondare una
nuova era dopo il Grande Torino, ma nessuno ne raccolse mai l’esempio per una
continuità di ammodernamento mentale e gestionale che si presentava necessario.
L’orgoglio e la retorica di un passato davvero unico, ha sempre prevalso sul “mai
andare avanti” e sul “mai adeguarsi ai tempi”, compiacendosi sempre dietro mille
alibi. E’ tempo di cambiare dal basso, dando un chiaro messaggio di voglia di ammodernamento
per il presente e il futuro. Stimolare la società per dire di essere cresciuti,
di avere delle ambizioni e di non accontentarsi più del quasi niente. Non
sappiamo quanto questo possa servire, ma siamo certi che la società prima o poi
capirà che il Torino vuole stare sempre in alto alla classifica per raggiungere
mete ambiziose. Non bastano più i perenni ricordi di una società fallita, poi
rimessa in sesto dai lodisti e acquistata con evidenti pensieri di investimento
commerciale e promozione d’immagine da parte dell’attuale presidente Cairo. Il
Toro deve crescere nel suo interno. E’ il presente che conta, per costruire le
fondamenta in un futuro che vuole interessare e appassionare le nuove
generazioni di fede granata. Altrimenti si resterà sempre fermi con i
nostalgici parrucconi, un Toro da metà classifica e attento a non retrocedere
in Serie B. Quasi fosse una vittoria, quasi fosse un orgoglio. No, l’orgoglio
granata è di tutt’altra natura. Si provi a dirlo con l’esempio dei fatti a
questa presidenza e a questa squadra. La maglia del Toro deve rappresentare il
presente e il futuro. Il passato è storia, è amore, è orgoglio. Sacro e
intoccabile resti il pensiero commemorativo del Grande Torino, della tragedia
di Superga, di Meroni, di Ferrini, del sentimento romantico legato al vecchio e
glorioso Fila e di tutto ciò che appartiene alla storia granata, ma basta
girarsi indietro perché così facendo si perderà di vista il domani.
Salvino
Cavallaro
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