LA SICILIA E IL PALLONE FATTO DI SENTIMENTI


E, a questo proposito, abbiamo pensato di avvalerci della testimonianza di Lucio Stella e Dario Spagnoli, ex calciatori e compagni di squadra nell’Akragas degli anni ‘70, proprio per significare un periodo storico vissuto all’insegna della goliardia, della semplicità e dell’importanza dei valori sportivi e umani
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29/01/2014 -

La Sicilia può essere considerata meritatamente la patria della cultura e della civiltà. Essa, infatti, ha dato i natali a scultori, poeti, filosofi e scrittori di fama indiscussa, come Leonardo Sciascia, Salvatore Quasimodo e Luigi Pirandello, grande drammaturgo, scrittore e poeta agrigentino, insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1934. Agrigento è una delle perle della Sicilia ed è nota in tutto il mondo come Città dei Templi per la sua distesa dei Templi dorici dell’antica città greca posti nella cosiddetta valle dei Templi, ed è stata inserita nel 1997, tra i patrimoni dell’umanità dall’UNESCO. Il clima è mite anche d’inverno e in primavera, al levar del sole, si scorge il vasto e dolce pendio della città antica che si estende tra il verde dei giardini e degli innumerevoli vigneti. Qui, in questo straordinario angolo di mondo è tutto un pullulare di cultura, tra storia, architetture, monumenti, chiese, monasteri e conventi che trasudano di pregiata antichità. C’è poi la Sagra del Mandorlo in fiore, una tradizione popolare che si svolge ogni anno ad Agrigento nella prima settimana di febbraio, per festeggiare l’anticipo della primavera con il rifiorire dei mandorli. A questo straordinario evento partecipano gruppi folkloristici di tutto il mondo. E, tra cultura, paesaggi incantevoli e sublimi sensazioni derivanti dal contatto con la natura, il pallone, inteso come gioco del calcio ha un nutrito seguito di appassionati. L’U.S.D. Akragas – Città dei Templi, più semplicemente conosciuta con il nome di Akragas, è la principale società calcistica di Agrigento. La società dai colori bianco-azzurri, in seguito a un fallimento, ha portato a termine nel 2011 una fusione con la seconda squadra di Agrigento: l’Agrigentina. La squadra, adesso, milita nel campionato di Eccellenza siciliano. Non ricco ma dignitoso il suo Palmarès che la vede soltanto vincitrice della Coppa Sicilia nel 1997 e poi nel 2006. La società bianco-azzurra che ha avuto negli anni illustri allenatori quali, Carmelo Di Bella e Franco Scoglio, ha visto la sua partecipazione a campionati di Serie D, C1 e C2. Ma, nonostante non abbia raggiunto importanti traguardi sportivi, l’Akragas ha saputo lasciare in coloro i quali negli anni hanno partecipato attivamente all’interno dello staff tecnico della società, ricordi indelebili che s’intrecciano a momenti di vita calcistica e umana che, talvolta, superano anche il prestigio del raggiungimento di grandi vittorie. Segno tangibile di un ambiente ideale capace di enfatizzare il piacere e l’amore verso quel calcio che è anche fatto di rapporti umani. E, a questo proposito, abbiamo pensato di avvalerci della testimonianza di Lucio Stella e Dario Spagnoli, ex calciatori e compagni di squadra nell’Akragas degli anni ‘70, proprio per significare un periodo storico vissuto all’insegna della goliardia, della semplicità e dell’importanza dei valori sportivi e umani. Lucio Stella, oggi editore della testata giornalistica “Il Palio dei Quartieri News”, nonché presidente e organizzatore dell’omonimo Torneo di calcio dilettantistico che si svolge a giugno di ogni anno a Torino, è approdato ad Agrigento durante il campionato 1976-’77 quando la squadra militava in Serie D. Proveniente dall’Albese in Serie C e con un bagaglio di esperienze calcistiche di ottimo livello, maturate nel Settore Giovanile del Torino Calcio, Lucio Stella s’inserì rapidamente e in maniera positiva, non solo nel contesto della squadra ma anche tra la gente di Sicilia che lo ha saputo apprezzare per le sue indiscusse qualità calcistiche e umane. Alto, forte fisicamente e con ottimi fondamentali, Stella giocava a centrocampo, in quella zona nevralgica del campo considerata da sempre il fulcro del gioco del calcio.   Ma, come dicevamo pocanzi, oltre le sue indiscusse qualità tecniche di calciatore di buon livello, oggettivamente riconosciute, Stella ricorda con piacere quel periodo della sua vita in cui si trovò ad affrontare un’esperienza nuova, in una terra a lui sconosciuta e dove non era mai stato neanche come turista. Oggi, parlando di quegli anni, i suoi occhi brillano di un chiarore e di un’emozione tale che è difficile nascondere. Segno evidente di un qualcosa che ti è rimasto nell’anima e che non morirà mai. Stella, tra gli altri, ci tiene a ricordare l’allenatore Carmelo Del Noce e poi il compagno di squadra e amico Paolo Magliacani ex calciatore dell’Akragas più vecchio di lui di dieci anni, che seppe dargli amicizia e ospitalità fin dal primo giorno in cui arrivò spaesato ad Agrigento.Un esempio di stima reciproca che Lucio Stella non dimenticherà mai. L’altro personaggio “testimone” dei ricordi indelebili di quegli anni ’70 vissuti ad Agrigento e nell’Akragas è Dario Spagnoli che tra gli altri, ha anche militato nelle fila del Ribera, città della provincia di Agrigento. Dario Spagnoli, bergamasco di nascita e modenese di adozione, si è perfettamente integrato in Sicilia attraverso il calcio. Egli è anche autore del libro: “La mia Akragas - Quando i pali erano quadrati” edito da Il Fiorino con prefazione di Carlo Petrini, l’ex calciatore di Serie A recentemente scomparso. Un piacevole percorso di vita personale che s’interseca dolcemente con i suoi trascorsi legati alla rincorsa di quel pallone siciliano chiamato Akragas. Per Spagnoli, rievocare il vissuto di quegli anni è come esternare dall’anima ciò che di più caro appartiene all’intimo della propria vita. “Per questo motivo ho scritto il libro “La mia Akragas”, proprio per significare ai tanti amici agrigentini, siciliani e non, un periodo prezioso della mia vita che si annida tra le pieghe della mia anima” dice con orgoglio Dario Spagnoli.
Dario Spagnoli, in quali anni hai giocato nell’Akragas?
“Arrivai ad Agrigento all’inizio del campionato 1973’74 e, in quell’anno, cominciai a giocare nell’Akragas.Tra le fila di questa squadra rimasi fino al 1978 con il solo intervallo del campionato 1974’75, periodo in cui ho dovuto lasciare il calcio per il servizio militare. Indelebili ricordi mi legano a questo periodo che non fu soltanto prodigo di esperienze calcistiche ma, soprattutto, di rilevanti rapporti umani. Grande merito va ai siciliani e agli agrigentini in particolare, che mi hanno accolto con amicizia e grande senso dell’ospitalità. Ti dirò che per un calciatore di buon livello, così com’eravamo noi semiprofessionisti del calcio, poter svolgere la propria attività in un ambiente sereno, gioioso, fatto d’innumerevoli attenzioni, cui molti di noi non erano abituati, è stata davvero una vera fortuna. Con i siciliani è facile intraprendere simpatia ed empatia, due elementi che s’identificano nelle relazioni e in quell’idem sentire tra le persone, che spesso ricerchiamo vanamente per tutta la vita e che invece io ho avuto la fortuna d’incontrare”.
Che cosa racconti nel tuo libro “La mia Akragas”.
“ E’ lo scorcio della mia vita più bella: ricordo che arrivai ad Agrigento all’età di 19 anni e debuttai in una partita contro il Messina davanti a 9.000 spettatori. Non ero abituato a tanto, perché arrivavo da campionati di livello inferiore alla Serie D e dove al massimo c’erano cinquanta persone a vedere la partita. Giocavo nel campionato Primavera dove, pur affrontando formazioni importanti quali, Juventus, Inter, Milan e Bologna che si avvalevano di giocatori che hanno proseguito la carriera professionistica in Serie A, non  avevo sicuramente l’esperienza di partite disputate davanti a una platea così importante”.
In quale ruolo giocavi?
“Inizialmente mi era stata affidata la maglia numero 6, ma poi, viste le mie caratteristiche tecniche, mi diedero la maglia con il numero 8. Ero una mezz’ala di ruolo, quello che nel calcio di ieri si definiva regista e che oggi s’identifica meglio in centrocampista d’attacco . Mi piaceva suggerire, ispirare, rifinire il gioco, mandare in gol il compagno di squadra e, quando segnava, sentivo dentro di me una gratificazione immensa, quasi che quel gol l’avessi fatto io. Per questo motivo, non ho fatto molti gol in carriera. Non ero una punta  ma avevo altre caratteristiche”.
Che cosa ricordi del tuo compagno di squadra Lucio Stella?
“Giocava anche lui a centrocampo, era forte fisicamente, dotato di un calcio potente e, soprattutto, dava del “Tu” al pallone. Ricordo che arrivò ad Agrigento a campionato iniziato. Era l’anno 1976’77 e giocavamo in Serie D. Lui è un amico, ed è stato un compagno di squadra corretto e leale”.
Come definisci il calcio in Sicilia?
“Il calcio di oggi, a livello nazionale e internazionale è cambiato tantissimo, e così presumo quello siciliano. Non si bada più alla tecnica, ma si preferisce un calcio con poca qualità e con tanta attenzione alla parte atletica. Non voglio fare retorica, ma il mio calcio era fatto anche di valori sportivi e umani che oggi non ci sono più. Era un calcio più semplice, la cui definizione di gioco si rispecchiava perfettamente con la sua storia” .
Che cosa ti ha dato la terra di Sicilia e Agrigento, che altri posti d’Italia non ti hanno saputo dare?
“Non posso fare altro che parlare bene della Sicilia e dei siciliani, perché mi hanno accolto  con simpatia e amicizia. Ho vissuto in quella terra per dieci anni. Ad Agrigento mi sono  sposato ed è nata mia figlia e lì è rimasto un pezzo del mio cuore, oltre a tanti amici che si ricordano ancora di me”.
A che età hai lasciato il calcio?
“Avevo solo 24 anni, ma il calcio non m’interessava più perché non mi sentivo parte del gruppo. Ero stato estraniato dai nuovi proprietari dell’Akragas che venivano da Palermo e così ho preferito cercare un calcio minore in quel del Ribera, un paesino in provincia di Agrigento. Lì, non era più la stessa cosa. Giocavo per divertirmi e lavoravo altrove per vivere. Tuttavia, non conservo rancore per questa vicenda che considero soltanto un   incidente di percorso”. 
Un lato positivo e uno negativo del tuo carattere.
“ Quello positivo è che sono sempre andato d’accordo con tutti e quello negativo è lo stesso: sono sempre andato d’accordo con tutti”.
Se dovessi dare un consiglio ai ragazzi che aspirano a diventare campioni di calcio, cosa gli diresti?
“Di divertirsi, di non esasperare l’impegno, di ritenere il calcio il più bel gioco del mondo e  nulla di più”.                                                                                             
Salvino Cavallaro
       
 

Salvino Cavallaro