Com’è in contraddizione questo Toro, capace d’illuderti che qualcosa sta cambiando in meglio e poi sbatterti di brutto in una realtà angustiante, sempre la stessa per amarezza. E intanto, mentre i granata di Ventura perdono malamente a Cagliari, la Juve strapazza a Torino il Napoli di Benitez. Pioggia di gol, di furore agonistico, di gioco, di grinta, di determinazione e impostazione tattica, che fanno passare persino in secondo piano il millimetrico (21 cm.) di fuorigioco non rilevato dall’arbitro, in occasione del primo gol di Llorente. Un gap che sembra incolmabile tra le due società della città sabauda, due realtà che già in passato abbiamo avuto modo di farne il distinguo. Ma, per fortuna, ci sono i sentimenti, e la variegata e impareggiabile letteratura granata vanta una storia che ormai ha superato di molto il mezzo secolo. Tanti trascorsi che s’intrecciano tra fatti e racconti di grande calcio e poesia pura, in un intersecarsi di emozioni da brividi. Si inizia con la tragedia di Superga e gli Invincibili Campioni del Grande Torino, per continuare poi negli anni con le storie di Giorgio Ferrini, della “Farfalla Granata” personificata da Gigi Meroni, fino ad arrivare al fallimento della società granata avvenuto nel 2005, quando a capo dell’azienda figuravano Franco Cimminelli, azionista di riferimento e Tilli Romero, il presidente che, suo malgrado, fu artefice della morte di Gigi Meroni in un incidente stradale avvenuto proprio a Torino. Già, la farfalla granata, una storia coinvolgente che la Rai TV trasmetterà in prima serata l’11 novembre. Un film che milioni di spettatori potranno ammirare con sentimento e romanticismo, dove la storia del pallone granata s’intreccia perfettamente con la vita di Gigi Meroni, un campione che, per caratteristiche personali, non ha avuto eguali nel corso degli anni. Ma il calcio è calcio e, pur consapevoli e orgogliosi di una lunga, interessante storia letteraria, si scorrono le pagine di questa società granata capace di vincere un solo scudetto in 64 anni di football, post Grande Torino. Un po’ poco, anche in considerazione dell’altra realtà vincente della città piemontese. Ma, ritornando ai fatti attuali, dobbiamo rimarcare una metamorfosi notevole della squadra di Ventura, capace di pareggiare una bella partita in casa contro la Roma capolista, e poi riprendere la strada dell’anonimato a Cagliari, perdendo malamente una partita al cospetto di una squadra per nulla irresistibile. Il Toro visto allo stadio Is Arenas di Cagliari, nel primo tempo è apparso assente ingiustificato; molle, lento, stralunato, con poche e confuse idee. Un film già visto che, purtroppo, non è paragonabile al romanticismo della fiction prima citata; tutt’altro. Su 8 gare il Toro ha perso 3 volte e pareggiato 5 match. No, così non va proprio. Non è l’allenatore da cambiare e non sono neppure i giocatori ad essere sostituiti, perché loro, in fondo, fanno quello che è nelle loro limitate corde tecniche. In mezzo alla squadra c’è un solo giocatore davvero importante: Cerci, che quasi sempre sembra predicare nel deserto. Forse bisognerebbe ripartire dalla società stessa, da una casa granata che non c’è, da una sede che non esiste e che è perennemente provvisoria, da un campo Filadelfia monco e distrutto che è la vergogna della città di Torino, da una rete di osservatori insufficienti, da un Settore Giovanile che una volta era il fiore all’occhiello del Toro vero, e da una mentalità che, per forza di cose, deve essere ammodernata ed adeguata al calcio contemporaneo. E’ vero che non c’è futuro senza passato, ma il presente ha il significato di essere ciò che si è, nonostante il grande passato. Ci piacerebbe davvero (e a chi non piacerebbe?) vedere il Toro sicuro di se, con autostima, sia nella conduzione societaria sia nella parte tecnica. Non esiste una grande squadra se alle spalle non c’è una grande società. Nulla nasce per caso e, rifugiarsi consapevolmente nei sentimenti romantici della storia del Toro, che ci coinvolge sempre in maniera intensa, purtroppo non cambia la realtà mediocre di una società e di una squadra granata senza continuità di risultati, i cui limiti non riescono a proiettata definitivamente in quell’Olimpo del calcio nazionale che da 64 anni l’aspetta ancora a braccia aperte.
Salvino Cavallaro
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