“Mi sono presentato da solo, avevo quattordici anni. Cercavano ragazzini, quel giorno eravamo una cinquantina. C’erano diversi allenatori, fra i quali Nolli, ex giocatore della Sampdoria ai tempi di Baldini. E’ stato il mio vero scopritore, lui mi ha creato come giocatore. Inizialmente giocavo all’attacco, ala sinistra. Negli allievi c’era bisogno di un terzino e Nolli mi mise lì”. Comincia così la bella storia calcistica di Antonio Cabrini, il “Bell’Antonio” e “Fidanzato d’Italia” che tutti ricordano, in particolar modo le giovani ragazze d’allora. Nato l’8 ottobre 1957 tra i paesi di Casalbuttano e Casalverde, a pochi chilometri da Cremona, Cabrini approda alla Juventus nel 1977 ed esordisce il 13 febbraio dello stesso anno. Proveniente dall’Atalanta, che allora militava in Serie B, Cabrini bruciò subito le tappe della sua carriera e, divenuto titolare inamovibile in bianconero, ebbe ben presto anche la promozione di titolare anche in Nazionale, dove è diventato campione del mondo nel 1982 con gli azzurri di Enzo Bearzot.”Ho un carattere abbastanza espansivo e aperto” dice il bell’Antonio, “per cui non ho avuto difficoltà di ambientamento a Torino e non ho mai avuto problemi di solitudine; per questo ringrazio Tardelli e il povero Scirea, due ragazzi straordinari con i quali ho legato moltissimo, sin dai primi giorni del mio arrivo alla Juventus”. Ma, come dicevamo pocanzi, Antonio Cabrini è stato anche l’idolo delle teenager. Non beve, non fuma, ama leggere soprattutto Hemingway, gli piace la musica leggera e apprezza Bob Dylan. Al cinema l’hanno appassionato Jacqueline Bisset e Robert De Niro. Qualcuno, in passato, gli ha pure proposto di fare l’attore, ma lui, con aria sorpresa, ha mormorato: “Sarebbe bello girare un film con Ingmar Bergman”. Ma la vera vita di Cabrini è nel calcio, è proprio lì che ha espresso il meglio di sé fino all’ultimo, proprio quando, dopo tredici anni di Juventus ad alti livelli passò al Bologna, dove chiuse la sua splendida carriera di calciatore con molti rimpianti, perché, dice: “Con il senno di poi avrei dovuto restare alla Juve fino a fine carriera..”. Oggi ci concede questa particolare intervista, in esclusiva per Il Calcio 24. In questa occasione, Cabrini esprime molto sinceramente e con l’ausilio di quella sintesi verbale che è l’emblema della sua concretezza d’espressione priva di inutili orpelli, i ricordi del passato che sono ancora vividi in lui e la realtà del suo presente che lo vede impegnato nel ruolo di C.T. della Nazionale di Calcio Femminile. Un destino segnato? Forse, ma lui è contento così.
Cabrini, come si trova un ex campione di calcio come te, nella veste di C.T. azzurro della Nazionale di calcio femminile?
“Benissimo, trovo poca differenza con il calcio maschile. Alta professionalità da parte delle donne e buoni rapporti che si manifestano in maniera professionistica in campo e fuori”.
Ricordo il tuo essere stato grande calciatore della Juventus. Perché la società bianconera d’allora non ha pensato a te, come anche a Gentile e Tardelli, nell’affidare un incarico tecnico nell’ambito della Juve stessa?
“Nel periodo in cui abbiamo smesso di giocare, ci sono stati alcuni cambiamenti ai vertici della società Juventus. Così sono state fatte altre scelte. Ma va bene così, dai”.
Dopo tutto ciò che avevi dato alla Juventus, ti è dispiaciuto?
“Non è sempre scontato che un giocatore che ha avuto una lunga milizia in una società di calcio, debba necessariamente rientrare nei loro progetti. La Juventus di allora si era espressa chiaramente su altre scelte. Per cui, è stato importante accettare la realtà”.
Che cosa ricordi dei tuoi anni vissuti alla Juve?
“Sono passati tanti anni da allora, ma sono convinto ancora oggi di essere stato particolarmente fortunato per aver fatto parte di una grande società di calcio come la Juventus”.
C’è un aneddoto particolare di quegli anni, che ricordi con particolare affetto?
“Sono stati tredici anni della mia vita assolutamente meravigliosi. E sono davvero tanti gli aneddoti che mi legano affettivamente alla Juve, tutti egualmente belli e talmente emozionanti che mi è difficile estrapolarne qualcuno in particolare. Tuttavia, posso raccontare quello legato alla figura del presidente Boniperti. Lui è stato un grande dirigente. Un personaggio carismatico e decisivo che viveva per la Juventus, ventiquattrore su ventiquattro. Tra i tanti episodi di vita in comune ce n’è uno più significativo di ogni altro. Ricordo che, appena fui operato al ginocchio, la prima cosa che fece fu quella di rinnovarmi il contratto. Un gesto che va al di là degli aspetti materiali e che dà il senso della vera forza di quella squadra”.
Rispolverando i ricordi della tua esemplare carriera, viene anche in mente quel famoso rigore che hai fallito in occasione della finale di Coppa del Mondo in Spagna, contro la Germania. Che cosa si prova in certi momenti?
“Confesso che non è stato un bel momento. Tuttavia, me ne sono fatto subito una ragione, perché ho pensato che, in fondo, l’errore ci può stare e quindi ho continuato a giocare in modo tranquillo. Ero convinto che ci fosse ancora tutto il tempo per riparare e, infatti, così è stato….”.
Che cosa pensi della Juve di oggi, subito dopo la sconfitta subita in casa da una Sampdoria rimasta in dieci uomini?
“ La Juve ha un grande gruppo, e lo sta dimostrando con i risultati. Ritengo che la partita persa in casa contro la Sampdoria, sia un incidente di percorso”.
Secondo te, quale squadra potrà contrastarla in campionato per la vittoria finale?
“Non lo so. Forse, la Juve stessa”.
A tuo avviso, che cosa manca ancora a questa Juve per primeggiare anche in Europa?
“Penso l’esperienza. Secondo me, alcuni giocatori non hanno ancora acquisito la necessaria esperienza internazionale, anche se sono in una fase di crescita”.
Non pensi che a questa Juve, manchi un top player?
“Sono scelte della società. La Juve ha puntato su una squadra e su un allenatore il cui gioco globale, inteso come scambio di ruoli, non prevede un giocatore da venti gol per campionato che abbia caratteristiche particolari. Tutti possono andare in gol e, al contempo, aiutare difesa e centrocampo. Comunque, i risultati stanno dando ragione alla società bianconera che ha scelto un gruppo che è stato capace di vincere uno scudetto, di essere prima in campionato, di esprimere un bel gioco, di aver vinto il proprio girone di Champions League e di essere in corsa per la Coppa Italia. Nel calcio, in fondo, sono i risultati che contano, non le parole”.
In generale, pensi che il calciomercato d’inverno serva davvero a migliorare la situazione di alcune squadre?
“Penso per tanti motivi, che il vero calciomercato sia quello estivo. Tuttavia, ritengo importante la riparazione invernale per alcune squadre che hanno l’obiettivo di salvarsi. In quel caso, può essere determinante scegliere sul mercato ciò che può aiutare alla salvezza e restare in Serie A”.
Cabrini, cosa resta in te di quel Bell’Antonio e Fidanzato d’Italia che ti ha contraddistinto per tanti anni?
“Sono gli altri che mi hanno coniato tali aggettivi. Voglio dire ancora una volta che tali appellativi che hanno costruito la mia immagine, non mi hanno mai interessato più di tanto. Da sempre sono stato abituato ad andare dritto per la mia strada, senza ascoltare ciò che intorno a me ritengo fatuo. Oggi, faccio ancora così”.
Finisce qui la nostra lunga e interessante intervista ad Antonio Cabrini, campione di un calcio diverso che, tuttavia, è rimasto sempre uguale nel creare miti e personaggi stereotipati. In fondo, tutti noi abbiamo bisogno di affezionarci a campioni e personaggi, la cui immagine è desiderata dalla nostra fantasia ma, anche, da ciò che ci viene imposto dai media.
Salvino Cavallaro
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