45 anni sono passati da quel lontano 15 Ottobre 1967, giorno in cui Gigi Meroni, la “farfalla granata” ha perso tragicamente la vita attraversando Corso Re Umberto a Torino, dopo essere uscito dal bar Zambon assieme a Poletti, terzino del Toro e della Nazionale di allora. Ha lasciato un grande vuoto attorno a sé, Gigi Meroni da Como, un vuoto che, nonostante siano passati ormai tanti anni dalla sua tragica morte, non è stato mai colmato. Troppo vivido è il suo ricordo e forte è ancora il rammarico di avere perso troppo presto un ragazzo e un atleta che aveva davanti a sé tutta una vita da vivere. Fiori e molteplici ricordi s’intersecano in una moltitudine di pensieri davanti al ceppo di Corso Re Umberto, proprio davanti a quel bar Zambon che è ancora lì a sfidare il tempo che è passato inesorabile e per ricordare quello che avrebbe potuto essere e non è stato. Aveva grandi doti tecniche Gigi Meroni, era un’attaccante veloce, saltava l’uomo in dribbling con estrema facilità e portava i calzettoni abbassati all’altezza delle caviglie, proprio com’era solito fare prima di lui Omar Sivori. Dipingeva, aveva la passione per l’arte, era estroso, disegnava i vestiti che indossava e amava i Beatles come tanti ragazzi d’allora. Ci piacerebbe immaginare come avrebbe potuto essere oggi la farfalla granata, un calciatore rivisitato in un calcio che per interessi economici e stili di vita non è paragonabile certamente a quello più sentimentale e meno stressante d’allora. Un pallone che si frapponeva tra poesia e capacità tecniche d’indiscutibile interesse calcistico. E, a questo proposito, ci piace riportare quanto ha scritto di lui Gianpaolo Ormezzano, firma storica del giornalismo italiano: “ Gigi Meroni, oggi non farebbe niente per essere originale. E questa sarebbe la massima originalità. Un niente personalissimo non ispirato dall’ufficio stampa o dal manager, non cercato e nemmeno tatuato. Giocherebbe a calcio, cosa che gli piaceva fare. Invece, i soldi sarebbero troppi. Magari dipingerebbe poiché era un buon pittore. Si dedicherebbe all’arte per non accelerare i tempi del suo ritiro dal calcio. Vivrebbe a Como nel tempo libero e sposerebbe Cristiana, donna che gli stava accanto vivendo una storia d’amore felliniana. Sarebbe sereno per resistere ai ritmi del calcio di oggi. Non farebbe niente per non rischiare un’eccessiva esposizione. Penso che potrebbe pure giocare male per non essere troppo celebre. Era un gran bravo ragazzo, quindi oggi non conterebbe niente. Sarebbe poco più di un fesso”. Un quadro completo di quello che avrebbe potuto essere Meroni inserito nel contesto del calcio contemporaneo. L’analisi di quel mondo e di quel calcio diverso è la fotografia un po’ retrò di una figura che appare fortemente contrapposta ai valori etici contemporanei. “Oggi sarebbe poco più di un fesso”, dice Ormezzano con tono non certo offensivo ma, più semplicemente, dando forza al suo pensiero filosofico proprio per magnificare il valore umano di Gigi Meroni che, nel mondo attuale, fatto di calcio scommesse, di intrighi, di millantatori e di mille tentazioni di corruzione, offuscherebbe di certo la sua genuina solarità di uomo artista di vita e genio del pallone. Sappiamo che sono accostamenti e paragoni fini a se stesso, anche perché i “se” e i “ma” non hanno mai fatto la storia della vita.
Salvino Cavallaro
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