Eccoci qui. Finalmente la lunga ed estenuante attesa del derby torinese sta per finire. Ancora pochi giorni e i fari illuminanti dello Juventus Stadium si accenderanno come i cuori dei tifosi granata e bianconeri. Dietro ogni partita c’è una storia, ma la storia del derby di Torino è una cosa a parte, un qualcosa che sfugge al semplice incontro di calcio e che si riflette su una città in cui vivono due realtà sostanzialmente diverse per cultura e tradizione. Da una parte la Vecchia Signora con la sua antica aristocrazia della casata Agnelli che è simbolo di potere, dall’altra la parte più proletaria, sanguigna, passionale, romantica sponda granata che ricorda in ogni occasione e con senso di orgoglio i fasti del Grande Torino di capitan Valentino Mazzola. Sono due modi diametralmente opposti di vedere il pallone cittadino che si manifesta attraverso uno status sociale, piuttosto che come effettivo incontro di calcio dai connotati tecnici da esaminare. Il divario finanziario tra le due società è imbarazzante. Mentre la Juve vanta notevoli possibilità economiche con il suo Stadium nuovo di zecca, il moderno centro di allenamento di Vinovo, il museo di nuova apertura e i suoi scudetti che la pavoneggiano in ogni occasione, il Toro risponde più sommessamente con il suo Filadelfia indegnamente rasato al suolo e mai ricostruito, con la sua incantevole storia degli “Invincibili” fatta di vittorie strepitose ma anche di malinconie e disgrazie che negli anni gli hanno dato la forza di controbattere comunque il potere juventino anche attraverso quel derby cittadino che resta pur sempre il significato più importante per il popolo granata. Chi non vive la storia del pallone della città di Torino, non può capire il significato profondo di vincere il derby. E, mentre ci si prepara alla stracittadina, gli animi si accalorano gli uni contro gli altri. La Juve e i suoi sostenitori, forti della loro classifica, hanno i favori del pronostico e pensano a vincere per migliorare la loro posizione al vertice e dedicarsi anima e corpo alla partita di Champions che seguirà da lì a qualche giorno dopo. Il Toro e il popolo granata aspetta con ansia questo appuntamento che si presenta dopo tanti anni di sofferenza in Serie B. Ma per loro ci sono motivazioni ed emozioni i cui connotati romantici vanno al di là di ogni logica tecnica che li vede obiettivamente inferiori. Ci sono cose amabili nei sentimenti reconditi del tifoso del Toro, c’è la sfida del povero contro il ricco, c’è la differenza tra chi vince sempre e chi non è abituato a calcare certi palcoscenici calcistici importanti, c’è la voglia passionale di buttare in campo il cuore oltre l’ostacolo, senza risparmiare energie di sorta. Poi, quello che verrà, verrà, e sarà tutto premiante per gli undici granata che affronteranno “l’odiata” Juve se, comunque vada il risultato finale, sapranno fare il loro dovere ed uscire dal campo con la maglia intrisa di sudore. Questo è il sentimento romantico cui è legato il popolo granata nei confronti dei suoi giocatori, della sua squadra, della sua storia, della sua bandiera che sventola orgogliosa e si lega sempre al cuore. Ma gli aristocratici cugini bianconeri non ci stanno, loro vogliono vincere in maniera più cinica, concreta, senza fronzoli alcuni per potere dire al mondo che la Torino del pallone è bianconera e non granata. Ma questo, si sa, è un argomento scottante che i granata non accettano perché ritengono che sia statisticamente provato che i tifosi del Toro a Torino superano numericamente quelli bianconeri, i quali vantano invece l’assoluto tifo in campo nazionale. Due mondi diversi dunque, due modi opposti di vedere il pallone che rotola in mezzo al campo inseguito da maglie bianconere e granata con motivazioni sociali opposte che ben si addicono alla storia dei due club cittadini. Suonano le trombe dunque in quel della Continassa, la zona di Torino che è ormai presidiata dalla Juventus. Il derby di Torino sta per cominciare. Ci saranno i sani sfottò che faranno da corollario indispensabile alla splendida cromatura di colori granata e bianconeri, i quali invaderanno gli spalti di quel meraviglioso palcoscenico chiamato Juventus Stadium. E, mentre raccomandiamo alle opposte fazioni di non rovinare la festa nel tentativo di abbandonarsi a violenze gratuite che non portano da nessuna parte, ci piacerebbe vedere alla fine della gara, una stretta di mano simbolica tra rappresentanti delle due tifoserie. Ma forse chiediamo troppo, con molta probabilità questo non sarà possibile. Che derby sarebbe senza il sale della sana rivalità sportiva?
Salvino Cavallaro
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