50 anni, mezzo secolo. Eppure
sembra ieri. Sono passati veloci come il vento che soffia solo una volta,
spazza tutto in modo ingeneroso e poi va via. Un soffio impetuoso capace di cancellare
la vita di un autore, cantante e musicista tra i più apprezzati al mondo e di
un campione di calcio tanto amato, che ha scritto un pezzo della grande storia
del Torino. Stiamo parlando di Luigi Tenco e Gigi Meroni, due storie di vita diverse e capaci
di accomunarsi nella tragedia. “Ciao amore, ciao” è il titolo che Linguadoc
Communication ha scelto ad hoc per celebrare i 50 anni della morte
di questi due personaggi immensi per cultura musicale e calcistica che sono
rimasti nel cuore degli italiani. Un incontro di grande interesse culturale che
si svolgerà a Torino
presso il Circolo dei Lettori in Via Bogino 9 - lunedì 16 ottobre alle ore 21,00 - in una serata che si preannuncia
magica per l’intervento di Alessandra Comazzi giornalista de La Stampa di
Torino, Beppe
Gandolfo giornalista Mediaset, Guido Barosio direttore di Torino Magazine e Natalino Fossati
ex calciatore del Torino e grande amico di Gigi Meroni. Il conduttore dell’incontro sarà il
regista Giulio
Graglia che si avvarrà dell’introduzione di Sabrina Gonzatto. Luigi Tenco è
considerato tra i più grandi esponenti musicali della scuola genovese. Nato a
Cassine in provincia di Alessandria, è cresciuto in quella Genova della musica
leggera italiana che si è ispirata ai grandi personaggi quali Fabrizio De Andrè,
Gino Paoli,
Bruno Lauzi
e Umberto
Bindi.
La sera del 26 gennaio 1967 Luigi Tenco salì sul palco del Festival di Sanremo
per cantare la canzone “Ciao amore ciao” in accoppiata con la cantante
francese Dalida. Ebbene, quella canzone dal testo così profondo non fu
apprezzato dalla critica e neanche dagli italiani di allora, tanto è vero che
si classificò al dodicesimo posto su sedici canzoni e fu esclusa dalla finale.
Da qui, l’abbattimento morale e la sfiducia totale di Luigi Tenco verso chi non
credeva in lui, emersero fino a maturare il desiderio di suicidio nella camera
d’albergo numero 219 dell’Hotel Savoy di Sanremo. Lì fu ritrovato la mattina
dopo, ucciso da un colpo di pistola alla tempia. C’era un biglietto scritto a
mano, e più di una perizia fatta allora ha stabilito l’autenticità dell’autore:
non c’erano dubbi, quel biglietto era stato scritto proprio da Luigi Tenco. Si
è trattato di un atto estremo, per protesta verso chi non ha creduto in lui e
nella sua canzone. Un episodio che colpì il mondo intero e che fece riflettere
su certe valutazioni spesso banalizzate da giudizi troppo frettolosi e
superficiali. E poi Gigi Meroni, la farfalla granata moriva il 15 ottobre 1967
in Corso Re Umberto a Torino, mentre attraversava la strada. Una tragica fine
consumata proprio davanti casa sua, mentre usciva dal bar in compagnia di Fabrizio
Poletti suo amico e compagno di squadra, terzino del Toro e della Nazionale di
allora. Ricordarlo dopo 50 anni dalla sua scomparsa è come rivivere quel
momento legato alla sua storia di calciatore e uomo dai mille affascinanti interessi
artistici. Una vita spezzata a soli 24 anni! Troppo presto, troppo pochi per
chiunque. Ha disputato 145 partite in Serie A realizzando 29 reti, ma ciò che
si ricorda di Gigi è quel suo essere personaggio atipico, particolare, che
amava dipingere, disegnare i suoi abiti e vestirsi in maniera originale,
incarnando una figura che si connaturava in un calciatore – beat, ma anche in
artista, in hidalgo e anche in dolce innamorato della bella Cristiana. Con
questo suo modo d’essere appariva come appartenente alla piccola nobiltà. Ma
Gigi fu sì nobile, ma di animo, perché le sue radici di ragazzo venuto da Como,
diventato in breve tempo il mito e il simbolo di un epoca, fu soprattutto un
esempio di vita per tanti ragazzi di quegli anni che erano l’emblema della
speranza di un mondo migliore. Un qualcosa di simile alla concretezza di voler
crescere e maturare in fretta attraverso i sacri valori umani. E Gigi, vera e propria
leggenda del calcio italiano, fu uomo dalle mille sfaccettature. Estroso in
campo come nella vita privata, fu un esempio di ordine mentale e modus vivendi.
Un beat la cui folta capigliatura e il suo apparire erano capaci di incuriosire
tutti, ma che non riuscivano a nascondere la bella persona che c’era in lui. Un
ragazzino semplice, cresciuto velocemente, ma senza mai dimenticare l’umiltà
delle sue origini, l’educazione ai sentimenti e al rispetto che egli mai ha
dimenticato, nemmeno nel momento di maggior fulgore professionale. E dire che
oggi, 50 anni dopo la sua prematura morte, è cambiato il calcio, sono cambiati
i calciatori e il mondo che gli ruota attorno, ed è cambiata anche la
quotidianità di una vita totalmente diversa. Sì, perché sono cambiati gli
uomini che hanno perso la loro naturale genuinità e quei sentimenti che oggi
sembrano sempre più soffocati da una deriva materialista che appare
inarrestabile. Così, quando ci capita di parlare di personaggi del passato, non
possiamo non fare un distinguo tra quello che è stato e quello che è. E, pur
nella convinzione che il presente non è poi tutto da buttar via, ci riesce
sempre più difficile non cadere nell’inevitabile retorica di pensiero che, in
fondo, personaggi come Luigi Tenco e Gigi Meroni, che ha vissuto soltanto 24 anni della
sua breve vita, sono riusciti a lasciarci dentro ciò che certi contemporanei
uomini, o presunti tali, non potranno mai fare. E’ l’eredità dei buoni
sentimenti, dei testi importanti delle canzoni d’autore e del calcio pulito. Un
ricordo, un qualcosa di prezioso che ci ha lasciato Luigi Tenco, un piemontese vissuto a
Genova, e poi Gigi
Meroni, una farfalla di color granata le cui esili ali sono state
spezzate da un vento troppo impetuoso. Storie di uomini, tragedie di vita e
rimpianti di ciò che avrebbe potuto essere e non è stato.
Salvino
Cavallaro
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