I giochi dei piccoli ragazzi siciliani negli anni '50, nel dopo guerra, erano semplici e poveri, molto lontani anni luce da quelli dei figli del 2000, del benessere, del voglio tutto e subito, della tecnologia. A noi bastava un pezzo di legno per fare una spada oppure una scheggia di legno arrotondata ed appuntita che veniva lanciata lontano con una specie di rudimentale "racchetta". Quello che noi chiamavamo "lo stoppino" e che viene comunemente detto la lippa. C'era il nascondino classico, il gioco dei numeri nelle caselle disegnate per terra con un gessetto e che noi chiamavamo "u passu e pessu", per via dei salti e passi che si dovevano fare. Mia sorella Silvia a volte radunava i ragazzini del vicinato ed organizzava una sorta di mini-festival di Sanremo con canzoni dell'epoca ed anche qualche mini-recita semi-teatrale inventata e lei naturalmente ne era la protagonista.
Un mio compagno di giochi, un certo Totuccio Paghia (Antonio Paglia) per un paio di volte mi portò con lui a partecipare a certe battaglie (tipo "ragazzi della via Paal") tra un quartiere e l'altro, il nostro "San Giuliano" contro quelli dei "Miracoli".
Lo scontro avveniva davanti alla chiesa della Madonna dei Miracoli, un gruppo di 10 o 15 ragazzi da una parte e l'altro di fronte. Ci lanciavamo delle pietre (piccole per fortuna !!) ed il gruppo che aveva più paura ed indietreggiava aveva perso, erano gli sconfitti. Io rifornivo Totuccio (ero il suo scudiero) e lui lanciava, a sentirlo così sembrerebbe un gioco pericoloso, ma non lo era per via delle piccole pietre, come dicevo, e per via che durava poco, in quanto un gruppo dei due scappava o si arrendeva. Quando mia mamma venne a sapere di quegli strani giochi, mi proibì di parteciparvi ed io cambiai quelle compagnie.
Gli unici giocattoli che ricordo da picccolo sono un cavallo a dondolo ricevuto in regalo un "giorno dei morti" di novembre, potevo avere 3 o 4 anni. In Sicilia i regali per i bambini si fanno in quella data e non a Natale. L'altro fu una pistola in un carnevale di qualche anno dopo. Questo secondo giocattolo mi durò pochi giorni in quanto in un giorno di quelle feste mi portai tutto felice e contento in piazza, correndo col mio nuovo "gingillo" sventolato in aria, credendo di essere Tex o capitan Miki.
In mezzo alla folla di mezzo paese, un mano svelta me la staccò di mano e subito si mischiò nella calca. In pochi secondi si consumò il furto senza che potessi ne fare nulla
ne capire chi l'avesse presa.
Tornai a casa sconsolato e mogio e per un altro giocattolo
avrei dovuto attendere ancora un bel po` di tempo. Nel frattempo mi arrangiavo e mi divertivo lo stesso o con i tappi di ferro di bottiglia facendo una specie di giro d'Italia o con le classiche figurine dei calciatori, inventandomi un mini campionato con una piccola pallina di carta. A proposito, il calcio al mio paese non era allora uno sport molto praticato per via dei pochi spazi disponibili in quelle strade strette. Il mio primo approccio con questo sport avvenne a 9 anni nel 1959 a Bergamo, quando entrai in collegio.
Attilio Arena
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