MIRKO FERRETTI, “SONO MOLTO ORGOGLIOSO DI ESSERE STATO ALLENATORE NELL’OMBRA”


“Una vita da secondo –
L’allenatore nell’ombra” è l’autobiografia di Mirko
Ferretti, l’ex calciatore degli anni ’50 - ’60, che poi intraprese anche la
carriera da allenatore restando però sempre fedele al ruolo di secondo. Ed è
proprio questa figura così particolare per la vasta letteratura dedicata al
calcio, che ha interessato gli autori Michele
Ruggiero (giornalista Rai) e Alessandra Demichelis, storica scrittrice della provincia di Cuneo. Mirko Ferretti è
figlio d’arte, in quanto suo padre è stato calciatore professionista negli anni
’30 – ’40, restando fedele alla Sicilia e in particolare alla città di Messina.
Mirko Ferretti da calciatore ha vestito diverse maglie, ma è rimasto legato al
Torino per aver vissuto ben 15 anni della sua vita. Con questa nostra
intervista abbiamo voluto entrare nell’anima di un calciatore capace di
percorrere una strada fatta di sport, ma anche di vita culturale, politica e
sociale.
Signor Ferretti, come
nasce l’idea di scrivere un libro su di lei, da parte dei due autori Michele
Ruggiero e Alessandra Demichelis?
“Con il giornalista Rai Michele Ruggiero siamo amici da tanti
anni. Un giorno mi chiese se avessi delle cose da raccontare della mia lunga
carriera di calciatore e poi di allenatore. Ma ciò che ha subito incuriosito
gli autori del libro, è stato proprio questo mio racconto da allenatore in
seconda. Una figura che apparentemente potrebbe sembrare di poco interesse, ma
che invece ha dei risvolti sportivi e umani davvero impensabili. Ecco, direi
proprio che attraverso il mio racconto sportivo nell’ombra, è emerso uno
spaccato di vita che coglie anche il mio interesse di calciatore sempre attento
alla vita sociale e politica”.
Già, il suo interesse
verso la politica. E’ vero che lei è stato uno dei rari casi di calciatore
degli anni ’50 – ’60, a manifestare pubblicamente le sue idee politiche di
sinistra?
“Mio padre era di estrazione politica rivolta a sinistra.
Finita la guerra sono cresciuto attraverso i valori e le idee di sinistra,
ritenendomi sempre un socialista nel vero senso della parola. Negli anni in cui
giocavo a calcio, ho sempre dichiarato apertamente e con onestà intellettuale
il mio credo politico. Ricordo che in quegli anni in cui mi trovavo a Torino, conobbi
il giornalista Nello Pacifico e poi Diego Novelli, due personaggi storici della
sinistra italiana. La loro amicizia mi ha arricchito molto sotto il profilo
culturale e politico. Con loro ci siamo frequentati a lungo, rafforzando ancor
di più quelle che erano già le mie idee di base. Ecco, questo è stato uno dei
tanti risvolti che si è intrecciato alla vita sportiva, quando ero a Torino
come allenatore e secondo di Gigi Radice”.
Suo papà Renato giocava nel Messina. In quali squadre siciliane ha poi
allenato?
“Ha allenato per un certo periodo il Messina e poi per due
anni il Canicattì”.
Da quali sentimenti siete
stati legati alla bellissima terra di Sicilia?
“Papà ha fatto il calciatore per sette anni a Messina. Era il
capocannoniere indiscusso e non ha mai acconsentito a un eventuale trasferimento
altrove, anche se a quell’epoca era stato richiesto da squadre importanti come
la Roma, il Genoa, l’Alessandria. Ma lui ha avuto una sorta di affetto per
quella città di Messina che gli ha tributato molto calore dal punto di vista
umano. Sono sentimenti che allora significavano tanto, forse tutto, in un mondo
del pallone che ti metteva a contatto con la gente e ti faceva sentire
importante”.
Senta Mirko, come nasce
la sua amicizia con il giornalista Rai Michele Ruggiero?
“E’ proprio il pallone che ci ha unito fin dal tempo in cui
sono stato a Torino e nel Toro. Gli ho raccontato la mia storia di calciatore e
di uomo. A lui piacque molto, fino al punto di rielaborarla assieme ad
Alessandra Demichelis che è una storica della provincia di Cuneo. A detta di
molti ne è uscito fuori un libro interessante, proprio per le situazioni che le
ho specificato prima”.
Ritornando alla
politica. Cosa è rimasto in lei di quella ideologia di sinistra, professata
durante la sua carriera di calciatore?
“Sono ancora molto convinto di ciò. E’ un po’ come la
Costituzione che vogliono cambiarla senza mai averla applicata. Da sempre è
stata staccata e vilipesa, perché c’è scritto che la legge è uguale per tutti e
non è così, che il lavoro è per tutti, ma non è così, che la casa è per tutti e
all’atto pratico non è così. Sono quindi per una giustizia socialmente
avanzata, perché se no, oggi come oggi, rischiamo di disperdere ciò che i
nostri padri ci hanno lasciato in eredità. Spiace dirlo, ma il nostro Paese
sembra diventato solo per i furbi e non si fa nulla per il bene collettivo”.
Ritornando al calcio.
Cosa c’è ancora che lo attrae di questo mondo?
“Il pallone e basta. Non sono d’accordo con l’inserimento
della tecnologia. Penso che con questo sistema si snatura l’essenza di un gioco
del calcio che è natura, vita, inventiva, un qualcosa che fa discutere ma che
sa darti profonde emozioni”.
Lei è stato definito un
allenatore nell’ombra. Non le dispiace sentirselo dire?
“ E’ proprio il contrario. Sono molto orgoglioso di essere
stato allenatore in seconda, perché a parte la figura principale di tecnico che
segue la squadra, è la figura del secondo che riesce a legare i rapporti tra
tutto l’ambiente e lo spogliatoio. I giocatori vanno seguiti, non solo dal
punto di vista tecnico e tattico, ma anche da piccole sfumature che sfociano
nell’umano. E’ vero che il calcio è gioco di squadra, ma ogni singolo ha il suo
carattere, la sua vita privata e una storia che non è mai uguale agli altri.
Ecco, direi che il mio ruolo è stato sempre quello di aiutare l’allenatore sotto
l’aspetto di alcune problematiche dei singoli giocatori. Quella sorta di
complicità che si instaura tra il secondo allenatore e i calciatori. Infatti, loro
si confidavano più con me che con altri. Anche questo è il segreto di tanti
successi nel calcio”.
Lei ha giocato nel
Canelli, nel Como, nel Catania, nella Fiorentina, nel Torino, ed ha chiuso la
sua carriera nell’Alessandria. Quale di queste squadre le è rimasta nel cuore?
“Sono stato nel Torino per 15 anni. Ho giocato, allenato, e
sono stato anche responsabile del Settore Giovanile. Quella era la mia casa e
quella maglia mi è rimasta nel cuore”.
Per finire, cosa pensa
del Torino di oggi?
“Chi conosce il Toro, come lo abbiamo vissuto noi fino ai
componenti dell’ultimo scudetto, può capire cosa voleva dire “Campo Filadelfia”. So che sta risorgendo
dalle ceneri e presto sarà inaugurato, ma difficilmente potrà crearsi quell’ambiente
famigliare che conoscevamo noi. Ricordo che i tifosi ci aspettavano dopo l’allenamento.
Era una festa. Pacche sulle spalle e discorsi amichevoli ti facevano sentire il
calore della gente granata. C’era un filo conduttore che legava tutto e tutti,
a partire dal presidente fino al magazziniere e ai tifosi. Oggi si tende a
chiudere le porte per non scoprire segreti tattici che potrebbero favorire l’avversario
di turno della domenica. Così i tifosi restano ingiustamente fuori dalle porte.
E’ vero, è cambiato il calcio. Ma sono cambiate anche le persone”.
Salvino Cavallaro