Come tanti tifosi granata vorrei poter dire: “’C’è oggi il Toro”. Un’affermazione capace di rivoluzionare il concetto filosofico che vuole eterna la retorica della squadra di calcio che fu. E allora mi chiedo quanto sia importante e/o costruttivo fare sempre appello ai ricordi, ogni qualvolta la vasta letteratura granata ci mette di fronte alla storia di quello che è stato il grande passato del pallone targato Toro. Vorrei poter parlare di presente e magari un tantino di futuro, che potesse riconciliare in qualche misura tutti i granata anche attraverso la partecipazione del Toro in una competizione internazionale. Ma è come sognare qualcosa che al risveglio ti ripropone di nuovo le pagine di un libro che ci riporta indietro nel tempo. Un amore che ha bisogno ancora oggi delle fotografie sbiadite in bianco e nero e di alcune riprese che, a mala a pena, ci vengono riproposte dai filmati destinati ai primordi di quella TV a colori che, per l’Italia d’allora, era davvero un lusso. E così, mettendo da parte come al solito l’incerto presente e l’ancor più interrogativo futuro del Toro di oggi, mi capita di sfogliare alcune pagine romantiche del libro scritto da Eraldo Pecci “ Il Toro non può perdere”. Diciamo subito che più che essere un libro rievocativo della magica stagione ‘75’76 in cui il Toro vinse il settimo scudetto, dalle pagine dell’autore si evince un calore tale da far pensare al romanzo di una vera storia d’amore. Non sembri eccessivo l’accostamento, ma il racconto di quel Toro rievocato da Pecci non è univoco e preponderante neanche di fronte al ricordo della Torino di quegli anni, fatta di nebbia ma anche di tanta semplicità. Sì, perché nel volgere delle pagine t’accorgi come Pecci amasse il pallone, il Toro, ma anche la gente di Torino con i quali era solito incontrarsi al ristorante e consumare in allegria e semplicità il pasto frugale dell’amicizia. Tutte queste cose s’intrecciano in modo romantico come fossero stampate su una cartolina illustrata. La cartolina della Torino granata d’allora, con le sue strade, le sue bellissime piazze, i musei, gli antichi portici e gli eleganti bar del centro storico, sempre così orgogliosamente rappresentativi della città sabauda. Ma il Toro in quegli anni era “tremendista” e Castellini, Santin, Salvadori, Patrizio Sala, Mozzini, Caporale, Claudio Sala, Pecci, Graziani, Zaccarelli e Pulici, rappresentavano l’orgoglio granata anche contro gli acerrimi cugini di sempre: i gobbi juventini. “La differenza che c’è tra le città d’Italia dove ci sono due squadre e la città piemontese, è che a Torino ci sono loro, i gobbi. A Milano succede che in un certo periodo vada meglio il Milan e in un altro l’Inter. Succede così anche a Roma tra la Lazio e la Roma o a Genova tra Genoa e Sampdoria. A Torino no, a Torino ci sono loro che sono i padroni del giornale, padroni della TV, padroni della banca e, tramite la Fiat, padroni della città. Non c’è gara” dice Eraldo Pecci. E così, il racconto dell’autore si dipana tra mille altri ricordi, snocciolando quella formazione vincente del Toro come fosse un rosario, un mantra propiziatorio da ripetersi davanti a una prova difficile, come una canzoncina che impari da bambino e che amerai per sempre. “Il Toro non può perdere” dunque, è il libro scritto da Eraldo Pecci edito da Rizzoli. 288 pagine tra fotografie, personaggi e ricordi romantici che amabilmente si intersecano in una commistione di fatti calcistici granata, riflessi in una Torino che tra gli anni ’70 e ’80 si fregiava d’essere una delle città industriali più importanti d’Italia. Ricordi, ricordi e ancora ricordi che, per l’ennesima volta, mi fanno pensare che l’oggi granata al cospetto del passato, si presenti ai miei occhi come fosse un fantasma dalla cui trasparenza vedo ancora in lontananza : “Castellini, Santin………..Claudio Sala, Pecci, Graziani, Zaccarelli, Pulici”. Giusto o sbagliato, questa è la realtà.
Salvino Cavallaro
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