LA JUVENTUS E IL FILM GIÀ VISTO.


Nell’analisi tecnico –
tattica e anche mentale del match degli ottavi di finale di Champions League tra
Juventus e Bayern Monaco, emergono tre punti essenziali: 1°) la rinuncia della Juve a giocare a calcio nel primo tempo – 2°) l’oggettiva
forza tecnica da parte del Bayern Monaco – 3°) l’inadeguatezza della
designazione arbitrale del signor Martin Atkinson in una partita così importante. Detto questo, cominciamo ad
analizzare il primo punto.
Non capiamo perché,
quando la Juve in Champions League arriva a confrontarsi con le più forti
squadre europee, perde di smalto, di autostima e acquista paura ( forse
inconscia) di applicare il suo gioco. Un gioco brillante fatto di forza fisica,
idee, giocate e gol che scaturiscono da un precisa identità calcistica, che sta
dando record e grandi soddisfazioni alla Veccia Signora d’Italia. La Juve vista
nel primo tempo contro il Bayern, ci ha ricordato quella vista l’anno scorso
nella finale contro il Barcellona. Stesso approccio errato alla gara, stessa
colpevolezza di non tentare di presentare il proprio gioco. Un primo tempo
timoroso, attendista, disarmante, tale da far riflettere quel “se avessi fatto…..”.
Già, se avessi. Quante volte col senno di poi si hanno dei rimpianti per quello
che avrebbe potuto essere e non è stato. Ma si sa che con i “se” e i “ma” non
si va da nessuna parte. E allora perché regalare sempre il primo tempo a
squadre così forti, quando nel secondo tempo ti accorgi che in fondo gli
avversari non sono poi così “marziani” come si pensava? Dopo il secondo gol di Robben nella ripresa della gara, la
Juventus ha spinto con vigore, forza fisica e voglia di raddrizzare un
risultato che la penalizzava in maniera esagerata. Così, quasi a rimboccarsi le
maniche, Mandzukic, Dybala, Pogba e
compagni si sono ricordati qual è la vera identità della Juve. Entrato Hernanes al posto di Marchisio che ha accusato un
indolenzimento muscolare, nel secondo tempo abbiamo visto ordine di gioco e
furore agonistico. E i risultati sono stati subito sotto gli occhi di tutti, perché
la Juve ha pareggiato i conti, prima con Dybala
e poi con Sturaro. Un 2 a 2 finale che
avrebbe potuto essere persino un 3 a 2, se Cuadrado
non avesse fallito un gol che si è fatto deviare da Neuer, per aver tirato affrettatamente addosso al portiere.
Detto questo, passiamo
al secondo punto in analisi, e cioè all’oggettiva forza del Bayern. Tenuto conto che la squadra di Pep Guardiola ha un assetto tattico che
è spesso imprevedibile, disponendosi come ieri sera con un 4-1-4-1 e poi
improvvisamente cambiare con un 3-3-3-1, in cui il capitano Lahm fa quasi sempre l’interno di
centrocampo e poco il terzino, mentre Robben
e Duglas Costa impazzano sulle fasce
laterali e Lewandowski si catapulta in area di rigore approfittando dei
suggerimenti di Muller e compagni,
tu Juventus avresti dovuto affrontare gli avversari bavaresi contrapponendo un
pressing alto, atto a non lasciare per troppo tempo il possesso palla ad
avversari temibili sotto il profilo tecnico, ma gestibili se si è in grado di
contrapporre il proprio gioco con personalità. Il 77% di possesso palla
lasciato nel primo tempo ai bavaresi, la dice lunga su un approccio sbagliato
alla gara. Così facendo il Bayern, trovando l’opportunità di gestire il proprio
gioco senza essere disturbati minimamente dagli avversari, è apparsa una
squadra di un livello ancora più alto di quello che è oggettivamente. Di
questo, Pep Guardiola deve dire
grazie a una Juve che nel primo tempo non è scesa in campo, mentre dopo il gol
di Robben, forse pungolata nel suo
orgoglio, ha saputo raggiungere un pareggio che è certamente meritato. Ma la
domanda è: Come mai si è data questa opportunità al Bayern di dimostrarsi
ancora più forti di quello che sono, mentre la Juve sembrava convinta che
contro simili avversari non ci fosse nulla da fare? Scelta tecnica nel volere
attendere l’avversario nella propria metà campo per eccessivo timore, oppure è
colpa di antiche reminiscenze di problemi psicologici, che periodicamente
ritornano a galla e che legano da sempre la Juventus alla competizione
calcistica più importante d’Europa? Non sappiamo. Tutto può essere. Fatto è che
tra il primo e il secondo tempo abbiamo visto una Juve diversa, contro gli
stessi avversari. E, se tanto mi dà tanto, pensiamo che il Bayern Monaco, pur
nella sua impeccabile inquadratura di squadra solida che non concede nulla all’avversario,
non è poi tutta questa compagine di marziani, di cui si dice. E’ la Juve, con
la sua rinuncia al gioco, che ha reso i bavaresi ancor più forti di quello che
sono realmente.
Per quanto riguarda il
terzo punto della nostra analisi che ha evidenziato anche l’inadeguatezza della
designazione arbitrale, dobbiamo dire che il 44enne direttore di gara Martin Atkinson ha sbagliato molto,
anzi troppo, per essere un ottavo di finale di Champions League. Un rigore non
concesso alla Juve per chiaro fallo di mano in area da parte di Vidal e l’ostruzione in fuorigioco da
parte di Lewandowski, posto davanti
a Buffon in occasione del gol di Thomas Muller,
sono state determinanti per l’esito finale della gara. Ma il signor Atkinson ha dimostrato anche mancanza
di carattere, per non aver saputo gestire con polso una gara che spesso ha evidenziato
scorrettezze da parte delle due contendenti in campo. Certo, questo punto della
nostra analisi non può rappresentare l’alibi per una Juve che, nonostante abbia
raddrizzato un risultato quasi insperato, si trova ad avere dei rimpianti. Tuttavia,
pensiamo che la designazione arbitrale per un match di così alto spessore, dovrebbe
avere maggiore attenzione da parte degli organi competenti. Si spera almeno che
nel match di ritorno che si giocherà il 16 marzo all’Allianz Stadium di Monaco, si assegni un arbitro capace e
deciso nelle valutazioni, ma, soprattutto, ci sia una Juventus che sappia
ricordare a se stessa la capacità di inibire la fonte del gioco avversario attraverso
la propria personalità, la propria autostima, la propria voglia di non lasciare
l’iniziativa all’avversario, per non avere i soliti rimpianti legati ad una
Coppa dei Campioni che la storia della Juventus la ricorda come qualcosa di eternamente
stregata e incompiuta.
Salvino
Cavallaro