Sono passati veloci come il
vento che soffia solo una volta, spazza tutto e poi va via. Un soffio capace di
cancellare una vita, la vita di un campione di calcio tanto amato che ha scritto
un pezzo della grande storia del Torino. Gigi Meroni, la farfalla granata
moriva il 15 ottobre 1967 a Torino in Corso Re Umberto, mentre attraversava la
strada. Una tragica fine consumata proprio davanti a casa sua, mentre usciva
dal bar in compagnia di Fabrizio Poletti suo amico e compagno di squadra,
terzino del Toro e della Nazionale di allora . Ricordarlo dopo 47 anni dalla
sua scomparsa è come rivivere quel momento legato alla sua storia di calciatore
e uomo dai mille affascinanti interessi artistici. Una vita spezzata a soli 24
anni, troppo presto, troppo pochi per chiunque. Ha disputato 145 partite in Serie
A realizzando 29 reti, ma ciò che si ricorda di Gigi è quel suo essere
personaggio atipico, particolare, che amava dipingere, disegnare i suoi abiti e
vestirsi in maniera originale, incarnando una figura che si connaturava in un
calciatore – beat, ma anche in artista, in hidalgo e anche in dolce innamorato
della bella Cristiana. Con questo suo modo d’essere appariva come appartenente
alla piccola nobiltà. Ma Gigi fu sì nobile, ma di animo, perché le sue radici
di ragazzo venuto da Como, diventato in breve tempo il mito e il simbolo di un'epoca, fu soprattutto un esempio di vita per tanti ragazzi di quegli anni che
erano l’emblema della speranza di un mondo migliore. Un qualcosa di simile alla
concretezza di voler crescere e maturare in fretta attraverso i sacri valori
umani. E Gigi, vera e propria leggenda del calcio italiano, fu uomo dalle mille
sfaccettature, estroso in campo come nella vita privata. Un esempio di ordine
mentale e modus vivendi. Un beat la cui folta capigliatura e il suo apparire che
incuriosiva tutti, non riusciva a nascondere la bella persona che c’era
in lui. Un ragazzino semplice, cresciuto velocemente ma senza mai dimenticare
l’umiltà delle sue origini, l’educazione ai sentimenti e al rispetto che egli
mai ha dimenticato, nemmeno nel momento di maggior fulgore professionale. E
dire che oggi, 47 anni dopo la sua prematura morte, è cambiato il calcio, sono
cambiati i calciatori e il mondo che gli ruota attorno, ed è cambiata anche la
quotidianità di una vita totalmente diversa. Sì, perché sono cambiati gli
uomini che hanno perso la loro naturale genuinità e quei sentimenti che oggi
sembrano sempre più soffocati da una deriva materialista che appare inarrestabile.
Così, quando ci capita di parlare di personaggi del passato, non possiamo non
fare un distinguo tra quello che è stato e quello che è. E, pur nella
convinzione che il presente non è poi tutto da buttar via, ci riesce sempre più
difficile non cadere nell’inevitabile retorica di pensiero che, in fondo,
personaggi come Gigi Meroni che ha vissuto soltanto 24 anni della sua
vita, sono riusciti a lasciarci dentro ciò che certi contemporanei uomini, o
presunti tali, non potranno mai fare. E’ l’eredità dei buoni sentimenti e del
calcio pulito. Un ricordo, un qualcosa di prezioso che ci ha lasciato una
farfalla di color granata, le cui esili ali sono state spezzate da un vento
troppo impetuoso.
Salvino
Cavallaro
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