FABIO VIGLIONE, AVVOCATO CON IL TORO NEL CUORE


Roma città eterna. E’
la capitale dalle mille contraddizioni, capaci di intersecarsi tra una storica
e immensa cultura che traspare evidente tra le pieghe di ogni angolo e uno
stato depressivo di non accuratezza, che emerge evidente da situazioni civiche
e sociali che la fanno apparire trasandata. Peccato, perché quelle volte che
veniamo in questa città vorremmo respirare un’altra aria, quella dell’orgoglio
che ogni capitale dovrebbe infondere. Tuttavia, pur nell’immancabile delusione,
Roma resta sempre il centro di quel turismo universale che si manifesta dalle
lunghe code per accedere ai Musei Vaticani piuttosto che al Colosseo, in Piazza
San Pietro, Piazza Venezia, i Fori Imperiali, Fontana di Trevi e mille altre
attrazioni storico culturali. Ma la capitale è il cuore pulsante del pallone
che divide il tifo tra Roma e Lazio, ed è anche sede del Governo, degli uffici
statali e di tanti professionisti che gravitano intorno all’immensità di una
città sempre bisognosa di tanta specifica professionalità. E così, non per
caso, ci troviamo nello studio dell’ Avv.
Fabio Viglione, giovane penalista che abbiamo conosciuto a Torino in
occasione della presentazione del libro “Caro
Toro ti scrivo”, che ha elaborato
assieme all’On. Giorgio Merlo. Stanze che parlano di Toro, che si vestono di
granata tra gagliardetti e fotografie ricordo. Poi, qua e là, alcuni oggetti
che parlano del suo amore per le antichità, come ad esempio una vecchia radio
che sembra trasmettere ancora una partita del Grande Torino attraverso la voce
di Nicolò Carosio. Con lui abbiamo parlato della sua passione per il calcio e
il Torino, ma anche dei suoi ricordi personali e della sua professione che va
oltre il minimalismo spesso suscitato da chi in modo banale parla solo della
propria fede calcistica. E’ stato piacevole disquisire sui vari punti che
riportiamo in questa lunga ed esaustiva intervista, capace di fare emergere la
vera natura del tifoso granata, del professionista, ma soprattutto dell’uomo.
Avv. Viglione,
proviamo a partire dall’inizio. Lei è cresciuto a Venosa, in Basilicata.
Cosa ricorda del periodo della sua infanzia e cosa la lega alla sua terra?
"Ho
trascorso una infanzia felice, con genitori amorevoli e comprensivi che non mi
hanno mai fatto mancare insegnamenti e positivi modelli di riferimento, pur
senza eccessi di autoritarismo educativo. Abitavamo in Basilicata, a Venosa,
una cittadina di circa tredicimila abitanti, dove ci si conosceva praticamente
tutti. Vivevo in un ambiente che potrei definire “protetto” ed anche se, ad
eccezione dell’oratorio, non c’erano spazi dedicati ai giovani, bastava un
polveroso campo di calcio, spesso improvvisato, per trascorrere ore spensierate
e sentirmi felice. Sono rimasto molto legato a Venosa, ricca di storia e di
bellezze artistiche, con un fermento culturale molto intenso. Quando ci ritorno
trascorro giorni di grande serenità.
Venosa è una città ricca di storia e di cultura, uno scrigno che
contiene risorse artistiche straordinarie.”
Mamma e papà, due
figure determinanti per ogni bambino. Dal punto di vista della formazione,
qual è la cosa che ancora oggi ritiene più importante del loro
insegnamento?
“La
capacità di saper ascoltare e farsi ascoltare, senza eccessi di severità,
offrendo esempi quotidiani per stimolare il senso del dovere e l’amore per la
vita. Più che tante parole erano i comportamenti e l’esempio quotidiano a
tracciare la strada. La strada della positività e dell’ottimismo che si
coniugava con uno spiccato senso del dovere e del rispetto delle regole. Mi
hanno dato tanto senza mai farmi pesare niente. Oggi, da genitore, spero di
saper fare altrettanto con mio figlio.”
Poi il suo
trasferimento a Roma, la città che l’ha adottato. E’ in questa città che
ha cominciato il suo percorso di studi?
“Si,
mi sono trasferito a Roma a diciotto anni per gli studi universitari. Già dal
primo anno di giurisprudenza avevo le idee piuttosto chiare: volevo fare
l’avvocato penalista. Ero attratto da un ruolo che, per me, aveva un fascino
particolare. Poter stare anche al fianco degli “ultimi”, per garantire il
diritto di difesa a chi veniva accusato e messo all’angolo. L’università mi
dava la possibilità di apprendere e gestire in autonomia i momenti di studio
alternandoli ai momenti di svago, ai momenti che mi servivano per ricaricare le
batterie. Una città come Roma, che mi sembrava immensa, ricca di stimoli e
sfide quotidiane, ha rappresentato per me il luogo ideale in cui poter mettere
a fuoco e valorizzare la mia identità. Senza particolari reti di salvataggio,
senza nessuna certezza ed una quotidianità tutta da vivere tra la
spensieratezza giovanile e la voglia di ritagliarmi uno spazio arioso, che mi
proiettasse in una dimensione professionale da costruire passo dopo passo.”
Laurea in Giurisprudenza,
poi gli anni di pratica in un prestigioso studio che l’ha fatto diventare
avvocato penalista. Perché questa sua scelta di vita? Era anche il
desiderio dei suoi genitori?
“I
miei genitori mi hanno sempre lasciato libero di scegliere senza imposizioni o
egoistiche proiezioni che non tenessero conto della mia identità e delle mie
inclinazioni. Mio padre è stato un insegnante, un educatore ed un apprezzato
psicologo che ha sempre cercato di fornirmi strumenti di autonomia affinché le
mie scelte fossero dettate dalla passione.
Né
lui, né mia madre, donna di eccezionale vitalità e sensibilità, mi hanno mai
condizionato nelle scelte finendo per tarparmi le ali o, al contrario, per
caricarmi eccessivamente di responsabilità e di pressioni. In loro ho sempre
trovato comprensione e partecipazione entusiastica, convinta, spesso
volutamente silenziosa: la molla più stimolante per dare il meglio e guardare
alla vita sempre con positività. Hanno cercato sempre di potenziare la mia
autostima, affinché conquistassi, con serenità, i miei spazi e la mia
autonomia.”
Oggi ha un avviato
studio a Roma. Quanto la gratifica il suo lavoro dal punto di vista
professionale, visto che la impegna in modo particolarmente intenso per
l’intera giornata?
“Ho
“sposato” una professione faticosa ma che mi appassiona. E’ una scelta di vita
totalizzante che assorbe tante energie richiedendo quotidiani sacrifici. Ogni
giorno ritrovo gli stimoli giusti per affrontare le complesse problematiche del
settore e cercare di dare il meglio. Ho avuto la fortuna di avere un grande
maestro, un eccellente avvocato, che ha acceso ulteriormente la mia passione
mostrandomi una realtà professionale fatta di valori e di impegno costante
vissuto con umiltà e determinazione. Per usare una metafora calcistica,
giocando su tutti i palloni con la stessa grinta e la stessa dedizione dal
primo all’ultimo minuto. Per rispondere alla domanda, il lavoro mi gratifica
perché mi consente di mettermi sempre in discussione e rimboccarmi le maniche.
Sono chiamato ad offrire un contributo tecnico ma al tempo stesso appassionato
a chi si rivolge a me, riponendo la propria fiducia per la tutela dei propri
diritti. E tanto avviene in contesti in cui non mancano le ansie, le angosce, i
timori di chi è chiamato a difendersi in un processo. Mi gratifica sapere di aver dato il massimo,
professionalmente. Toccare con mano la fiducia e la gratitudine degli assistiti
per la dedizione e l’impegno.”
Oltre a molti
processi penali, alcuni dei quali particolarmente noti alle cronache, lei
si è occupato anche di processi per illecito sportivo che hanno coinvolto
atleti e squadre di calcio professionistiche. Quanto l’ha aiutato la sua
passione per il calcio?
“Tantissimo,
perché è stata sempre una componente in grado di darmi delle coordinate
maggiori. Ho sempre amato il calcio, fin da bambino, soprattutto per la
capacità di creare entusiasmo e senso di appartenenza trasversale, attraverso una
passione in grado di accomunare anziani e bambini, adulti e giovani, senza
distinzioni di alcun tipo.
Chi la conosce la
descrive come una persona sensibile. Come riesce a conciliare il suo modo
d’essere con le varie problematiche che scaturiscono dalla sua
professione?
“Vivo
la sensibilità come un ingrediente imprescindibile per fornire assistenza nel
difficile percorso che il processo rappresenta. Il mio è un apporto di tipo
tecnico che rivolgo all’assistito ma in questo delicato cammino cerco di venire
incontro, in modo artigianale, alle peculiarità che ogni situazione presenta. L’unica
cosa che posso garantire, nel pieno rispetto delle regole e del sistema
processuale, è l’impegno e la dedizione con le quali tento di rendere concreto
e pieno l’esercizio del diritto di difesa cui ogni cittadino ha diritto. Non so
se si tratta di sensibilità più o meno spiccata, ma registro con rammarico una
vocazione generalizzata a ribaltare il principio costituzionale di non
colpevolezza fino alla sentenza definitiva. Frequentemente, questo principio
non viene vissuto pienamente nella coscienza individuale e collettiva e già
all’alba di una indagine, il cittadino accusato finisce per subire una
prevenzione ed un pregiudizio che lo accompagnano per la vita, nel quotidiano,
e neanche una sentenza pienamente assolutoria, talvolta, lo riabilita agli occhi
della gente. Si tratta di un approccio culturale che spero possa cambiare,
evitando così che si radichi una sorta di presunzione di colpevolezza in
conflitto con la Costituzione. In questo senso, anche l’informazione dovrebbe dare
un contributo più equilibrato. Spesso un avviso di garanzia è accompagnato da
“titoloni” e grande risalto mediatico ed una sentenza di assoluzione rinchiusa
in un “trafiletto”.
“…il grado di civiltà di un paese si
misura osservando la condizione delle sue carceri” (Voltaire). Questo
si legge nella presentazione del sito del suo studio. Perché ha scelto proprio
questa frase?
“Perché
è un tema che mi sta particolarmente a cuore. Il sistema carcerario è un tema
centrale in una democrazia avanzata, in uno stato liberale. La Costituzione ci
propone una pena che deve tendere alla riabilitazione del condannato ma le
condizioni in cui versano i detenuti, molto frequentemente, sono la
sconfessione di tale principio. E’ importante, invece, che si pensi ai detenuti
ed al loro percorso riabilitativo, affinché quel periodo di restrizione possa
trascorrere all’insegna del riscatto, della voglia di trovare stimoli positivi
che siano un viatico favorevole per il reinserimento effettivo. In questo
senso, le condizioni delle strutture e lo spazio di praticabilità di vita al
proprio interno lasciano spesso molto a desiderare. Il nostro Paese può e deve
fare molto di più.”
Tra le cose più
importanti della sua vita, in quale posto pone i valori?
"I
valori informano tutto il nostro agire e sono imprescindibili in ogni momento
della nostra vita ed in ogni esperienza umana e professionale che ci vede
protagonisti. L’onestà e la lealtà ci consentono di stare bene con noi stessi,
anche nelle turbolenze che la vita può riservarci. Tuttavia, nel vivere
all’insegna dei nostri valori, credo sia fondamentale offrirci al rispetto
degli altri e delle opinioni altrui. Molto spesso siamo chiamati a dare
testimonianza dei nostri valori e delle nostre idee anche confrontandoci con
chi la pensa in modo profondamente diverso. Credo che sia necessario, proprio a
fronte delle diversità di pensiero, riconoscersi nel rispetto reciproco per
ogni persona e le proprie idee, evitando eccessi di chiusura e la
radicalizzazione dello scontro. Sentirsi il bene contro il male o i buoni
contro i cattivi finisce talvolta per dar corpo alla perdita di equilibrio,
essiccando ogni fonte di reale confronto. Così come pensare di essere sempre
nel giusto e chi non la pensa come noi nell’errore. Ma tornando ai valori, è
sempre l’uomo che porta se stesso in qualunque professione, mettendo al centro
la propria cifra umana nelle situazioni della vita in cui è chiamato ad
operare. Credo che valori saldi ed equilibrio consentono di affrontare al
meglio anche le situazioni professionalmente più difficili.”
Dai valori alla
passione, dalla passione al Toro. Come è nata la sua passione per il Toro?
“E’
nata sostanzialmente grazie a mio padre - che è purtroppo mancato quasi
quindici anni fa – che era un
appassionato tifoso del Torino. Me ne parlava con entusiasmo anche perché aveva
vissuto da bambino nel mito del Grande Torino. Non è stato difficile per me
innamorarmi del Toro e perdermi in quella passione, anche cromatica. Ricordo
ancora adesso l’emozione di quando mi portò per la prima volta allo stadio a
sette anni e vidi sul prato verde quelle divise tutte granata….”
Ne parla anche nel
suo libro scritto con Giorgio Merlo “Caro Toro ti scrivo”…
“Si,
quel libro è stato scritto tutto d’un fiato e quasi per gioco, attingendo
proprio a quelle emozioni che ho cercato di raccontare con semplicità. La
semplicità di una passione che ha attraversato la mia vita e che, nonostante
tutto…non si è esaurita. E’ un libro di sentimenti più che di cronache
sportive. Ho provato a mettere in fila le emozioni vissute attraverso le voci
della radio, le immagini della televisione, i colori ed il calore dello stadio.”
Senta Avv.
Viglione, cosa pensa del Torino attuale?
"Credo
che abbia una società solida ed una squadra ricca di qualità. Negli ultimi anni
siamo cresciuti molto e credo che la squadra attuale, per talento dei giocatori,
sia competitiva per raggiungere l’Europa. Spero che abbia l’equilibrio per far
rendere al meglio i tanti calciatori di spessore che compongono la rosa.”
E del rinato Filadelfia,
cosa pensa?
"E’
meraviglioso poter rivivere il mito del Filadelfia e creare un fortino tutto
granata dove ricordare il passato, vivere il presente e guardare al futuro. Sarà
importante ricreare un collante forte tra la squadra e la gente granata. Il
cuore granata non è retorica e può essere trasmesso attraverso quell’alchimia
di un luogo unico che ci rende speciali. Nessuno in Italia ha un luogo come il
Filadelfia. Abbina la qualità della moderna struttura di allenamento alla
fusione con il territorio e con la gente granata, nel cuore pulsante della
città. Nel luogo in cui si fece la storia e, sono certo, continueremo a vivere
emozioni intense.”
Qual è il suo
pensiero circa la difficoltà del Torino di rivincere lo scudetto dopo
tanti anni? Manca forse un adeguamento nella conduzione gestionale che si
connaturi alle più moderne esigenze dell’azienda calcio?
“Credo
che il problema più grande sia da ricercarsi nella distribuzione delle risorse
finanziarie per i diritti televisivi. In Italia c’è un divario troppo ampio che
con il passare degli anni crea delle fasce di preclusione al raggiungimento
dell’obiettivo scudetto. Società come il Toro devono puntare a crescere
gradualmente e puntare a consolidarsi per farsi trovare pronte, immediatamente
a ridosso delle solite corazzate economiche. Credo che la dirigenza negli
ultimi anni abbia creato un sistema virtuoso che ci potrà consentire, mi
auguro, di fare gli ulteriori passi in avanti per riportare il Toro stabilmente
in Europa.”
Anche suo figlio, pur
abitando a Roma, tifa Toro. Oltre alla passione sportiva per il Toro, in
cosa si rivede in lui?
"Forse
nella voglia di non accontentarsi della prima risposta che gli viene data. Nel
cercare sempre il dialogo e stimolare il ragionamento, anche mettendo in
discussione ciò che non convince. Ma anche nella voglia di sognare, di
appassionarsi e di stimolare sempre la fantasia. Anche la sensibilità è un
tratto che lo contraddistingue. Ha dieci anni, ma è dotato di una spiccata
sensibilità che non finisce mai di sorprendermi.”
Cosa pensa di quei
genitori che vedono nel proprio figlio ciò che loro avrebbero voluto
essere e non sono stati?
"Fare
il genitore è il mestiere più difficile del mondo ed un errore educativo può
capitare a tutti. In un contesto di naturalistica “normalità”, ogni genitore è
votato all’amore incondizionato nei confronti dei propri figli. Tuttavia può
accadere che nei figli alcuni genitori proiettino, forse, un eccesso di se
stessi. “Voglio che mio figlio diventi…” o “non voglio che mio figlio faccia…”
perdendo di vista proprio le specifiche identità dei figli stessi. Così, anche
con le migliori intenzioni, si rischia di tarpare il processo di crescita e non
potenziare le peculiarità dei propri figli seguendone le reali inclinazioni.
Spesso i figli per assecondare specifiche proiezioni dei genitori vivono con
ansia e disagio anche attività che dovrebbero svolgere in modo spensierato. Tra
queste, le attività sportive rischiano di rappresentare spazi di compressione
eccessiva, con carichi di aspettative ed estremizzata competitività. Forse noi genitori dovremmo
privilegiare maggiormente l’ascolto evitando imposizioni ed eccessive
proiezioni di noi stessi.”
A parte il
desiderio di rivedere vincere lo scudetto del Toro, c’è un sogno che ha ancora
chiuso nel cassetto della sua vita personale?
“Lo
scudetto, per le logiche che oggi governano il calcio e per quanto detto anche
a proposito della distribuzione dei diritti televisivi, temo non sia un
obiettivo realistico per società come il Torino. Ma sognare è comunque lecito. Il Toro è sulla
buona strada, pur con qualche difficoltà, sta tornando una squadra di livello.
Mi auguro continui a crescere puntando con sempre maggiore decisione sulla
tradizione del settore giovanile e sulla identità granata che, anche grazie
alla rinascita del Filadelfia, avrà una dimensione più solida e tangibile. La
nostra identità è così forte che travalica il mero successo sportivo e ci rende
orgogliosamente unici. Un sogno della mia vita personale? Poter avere la fortuna
di “accompagnare” mio figlio Tommaso in tutte le tappe della crescita e della
maturazione e vederlo felice. Felice come quando esulta per un gol del Toro.”
Salvino Cavallaro