C’è una strana similitudine che
lega l’Atalanta al Torino di oggi. Infatti, entrambe le squadre sognano stando
con i piedi ben piantati in terra, ma con l’esempio recente di un Leicester che
fa pensare alla favola. E, mentre gli orobici di mister Gasperini stanno
costruendo una continuità di gioco e di risultati cui nessuno poteva
aspettarsi, il Toro di Mihajlovic ha incarnato lo spirito di chi non
s’accontenta mai. A dodici giornate dall’inizio di campionato la favola
d’Oltremanica targata Leicester sembra essersi trasferita a Bergamo, se si
pensa che l’Atalanta si trova al quarto posto in classifica con 22 punti , 19
gol fatti e 13 subiti. Da una parte Claudio Ranieri, prima accolto tra lo scetticismo
dei tifosi del Leicester e poi osannato, e dall’altra Gian Piero Gasperini, prima sulla graticola e
a un passo dall’esonero, mentre adesso è visto come una sorta di eroe della
provincia pallonara. Certo, l’equilibrio è un optional in questo mondo del
calcio capace di osannarti e poi buttarti nella cenere. Fatto sta che i
risultati sono quelli che parlano chiaro e non hanno bisogno di tante inutili
parole. Ma la scelta di Gasperini di affidarsi ai giovani sconosciuti del
vivaio bergamasco, ha del coraggioso. Qualcuno, infatti, lo ha definito un
pazzo, ma il coraggio premia talvolta anche oltre i teorici rischi. E infatti,
adesso l’Atalanta vince, convince, corre e gioca bene al calcio. Un calcio
semplice, canonico nel suo esprimersi senza martellamenti tattici da rispettare
fino all’ultimo respiro, ma con la sana voglia di divertirsi attraverso la
lucida e giovanile freschezza fisica e mentale. Conti, Caldara, Kessiè, Papu
Gomez, Petagna, per citarne qualcuno, rappresentano l’ossatura portante di un’Atalanta
che oggi si fa rispettare da tutti. Qualcosa di simile riscontriamo nel Toro di
Mihajlovic. Una squadra giovane e ben motivata, con i sacri valori della fame
sportiva. E’ l’incarnazione dello spirito di chi non s’accontenta mai, neanche
dopo avere messo a segno una lunga serie di gol e poi rallenta la morsa della
concentrazione. Questo non è ammissibile nella squadra di Sinisa Mihajlovic che
sbraita, si dimena, si agita in panchina anche quando la sua squadra vince 5 a
1 come è successo nella partita casalinga contro il Cagliari. E’ l’immagine di
un Torino nuovo, pimpante, che già più volte abbiamo posto in analisi come
squadra di grande forza d’urto nell’attaccare e attenta alle ripartenze degli
avversari. Anche Mihajlovic, come Gasperini, si è affidato ai giovani con un
minimo apporto di qualche elemento più esperto. Se dovessimo dire, oltre la
continuità di risultati che spesso s’inceppa fuori casa, in questo Toro c’è da
coprire il ruolo di difensore centrale che, con la partenza di Glik, sembrerebbe
non essere stato rimpiazzato con l’attenzione che merita un ruolo così
importante nell’economia del gioco di squadra. Ma su questo punto riteniamo che
il presidente Cairo e Petrachi, stiano già lavorando per riparare
l’insufficienza fin dal prossimo mercato di gennaio. A parte questo evidente
punto debole dei granata, ci piace constatare un formidabile attacco e un
centrocampo che finalmente si distingue come ottima miscela di tecnica e
potenza a supporto di attacco e difesa. Quell’ago della bilancia che nel calcio
resta pur sempre il punto nevralgico del gioco. Una necessità assoluta, quella
di un buon centrocampo, senza la quale si rifletterebbe una squadra senz’anima.
Ma dopo tanti anni d’attesa, finalmente questo Toro di Sinisa Mihajlovic
l’anima ce l’ha: eccome se ce l’ha! E adesso che Belotti, Ljajic, Iago Falque,
Zappacosta, Baselli, Benassi, Valdifiori, Barreca, Boyè, fanno la differenza
con lo spirito grintoso ma anche intelligente voluto dal suo allenatore,
bisogna lavorare ancora senza sedersi sugli allori, con la consapevolezza che
c’è ancora molto da ottenere. Su tutti, l’equilibrio e la continuità di gioco e
risultati anche fuori casa. E poi i sostenitori granata potranno respirare
un’aria nuova che sa di crescita, di autostima, di forza interiore che nasce da
una gioventù di calciatori affamati di gloria. La stessa fame che ha la
società, la dirigenza e tutto il popolo granata, che da troppi anni ormai ha
vissuto la sua grande storia, nell’immeritata opacità di una sostanza apparsa
sempre effimera. Sarà l’anno giusto per rientrare in Europa? Noi pensiamo di
sì. Ci sono tutti i presupposti.
Salvino
Cavallaro
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